Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024
La violenza sessuale nel matrimonio
La Cassazione, con la sentenza n. 7590 del 26 febbraio 2020, affronta la problematica relativa alla violenza sessuale nell’ambito del matrimonio, delineandone la configurabilità ogniqualvolta vi sia un costringimento psico-fisico idoneo a incidere sulla libertà della vittima costretta a subire gli atti sessuali, a nulla rilevando l’esistenza di un rapporto coniugale o i retaggi culturali dell’autore del reato.
§ 1. Il caso
Un uomo, di nazionalità pakistana, aveva costretto la moglie a un regime di vita caratterizzato da continue violenze e minacce che spesso le avevano causato gravi lesioni personali. I tre figli minori, costretti ad assistere a simili comportamenti del padre, avevano subito conseguenze negative sul loro sviluppo psichico. Inoltre, l’uomo costringeva la moglie, sia con la forza che con minaccia, ad avere rapporti sessuali completi con lui. Lo stesso, all’insaputa della donna, aveva condotto i figli minori in Pakistan presso i propri familiari, così da trattenerli lì per un significativo periodo di tempo. Dopo plurime lesioni e maltrattamenti la donna denunciava il marito.
Il Tribunale di Ferrara condannava l’imputato per i reati di cui all’art. 572 c.p. e all’art. 609 bis c.p. La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Ferrara e l’imputato presentava ricorso, respinto dalla Suprema Corte con la sentenza in esame.
§ 2. La cultura del paese di provenienza non giustifica mai la violenza
La Corte precisa che la cultura del paese di provenienza non può giustificare alcun atto violento e lo straniero deve conformare il proprio comportamento alle norme del Paese in cui ha deciso di trasferirsi:
“Quando oggetto di giudizio sono reati che ledono i diritti fondamentali dell’uomo (quali l’integrità fisica, la libertà sessuale), non v’è ingresso, nel sistema penale, alla valutazione delle diversità culturali quali limiti al fatto di rilevanza penale nell’ordinamento giuridico“.
Sarebbe contrario a ogni principio giuridico rinunciare ad applicare le norme del nostro ordinamento in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero. La formazione culturale dell’imputato non può essere tenuta in considerazione in quanto
“ritenuta recessiva nei casi in cui il bene giuridico leso o messo in pericolo sia oggetto di tutela quale diritto fondamentale dell’individuo ai sensi dell’art. 2 Cost., e inidonea a esonerare l’imputato dalla responsabilità e ciò in quanto la tutela dei diritti fondamentale dell’uomo costituisce un limite anche per chi ha scelto di stabilirsi in questo Paese“.
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§ 3. La violenza sessuale nel matrimonio
Gli Ermellini definiscono dettagliatamente il reato di violenza sessuale per la cui configurazione è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, mentre non ha alcuna rilevanza l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale. Il fatto poi che la donna non si sia opposta, come nel caso esaminato, in maniera evidente ai rapporti sessuali, non esclude il reato, essendo stato il marito ben consapevole del rifiuto della moglie al compimento di atti sessuali e a conoscenza che il suo silenzio era determinato da quel contesto di sopraffazione ed umiliazione in cui la costringeva a vivere.
La Corte ribadisce un principio già formulato in altre sentenze:
“Nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni, il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l’intero corso del compimento dell’atto sessuale“.
Per concludere, la libertà sessuale, quale espressione della personalità, secondo l’art. 3,comma 2, Cost., comporta la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali e non può trovare limiti o condizionamenti da diversi contesti culturali.
§ 4. Conclusioni
Con la sentenza esaminata, la Corte ribadisce importanti principi costituzionali in materia di matrimonio, quali la parità morale e giuridica dei coniugi, e condanna ogni forma di sopraffazione all’interno di questa unione. Proprio in virtù del rapporto di coniugio, infatti, la violenza in danno del coniuge risulta particolarmente deprecabile.
Peraltro, anche con una più recente sentenza (la n. 13273 del 29 aprile 2020), emessa a distanza di due mesi dalla prima, la Cassazione conferma questo orientamento. Questa pronuncia riguardava il caso di un cittadino dichiarato colpevole del reato di lesioni personali aggravate ai danni della moglie da cui era separato; gli Ermellini hanno ritenuto l’applicabilità dell’aggravante prevista dall’art. 577 c.p. al reato di violenze contro il coniuge. L’aggravamento della pena, quando le lesioni sono procurate al coniuge, trova giustificazione nella tutela che il nostro ordinamento riserva all’istituto matrimoniale, e nel particolare rilievo degli obblighi e doveri coniugali, che non vengono meno, semmai si attenuano con la separazione.