Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024
Operazioni Inesistenti & Uso di Fatture
L’art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti“, stabilisce che:
1. E’ punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
2-bis. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
L’Avv. Giovanni Chiarini ha difeso una Imprenditrice Agricola, imputata per questo reato, conseguendone l’assoluzione. Approfondiamo i tratti essenziali del processo penale e le motivazioni che hanno consentito di ottenere questo esito favorevole.
INDICE SOMMARIO
- § 1. I fatti oggetto dell’imputazione (uso di fatture per operazioni inesistenti)
- § 2. Il procedimento penale a carico degli Amministratori della Società produttrice di mangimi
- § 3. L’avvio del procedimento penale a carico dell’Imprenditrice Agricola
- § 4. L’istruttoria del processo a carico dell’Imprenditrice Agricola
- § 5. Le deposizioni testimoniali degli Ufficiali di P.G. della Guardia di Finanza
- § 6. Insussistenza della finalità di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto
- § 7. L’accoglimento delle ragioni della difesa e l’assoluzione dal reato di uso di fatture per operazioni inesistenti
§ 1. I fatti oggetto dell’imputazione (uso di fatture per operazioni inesistenti)
I fatti oggetto di questa vicenda processuale traggono origine da una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Ancona presso una Società Cooperativa produttrice di mangimi.
La Guardia di Finanza aveva sostanzialmente ritenuto che, per il periodo oggetto della verifica, la Società produttrice di mangimi avrebbe emesso numerose fatture nei confronti di clienti/soci, recanti la descrizione “Acconto forniture“, a fronte delle quali non vi sarebbe stata alcuna consegna di merce al cliente/socio, né la ricezione di ordini, né il pagamento di acconti da parte dei clienti soci.
Con la stessa informativa della G.d.F., era stato comunque riconosciuto che:
- la Società produttrice di mangimi aveva successivamente emesso numerose Note di Credito con le quali aveva stornato, nello stesso anno di imposta o in quello successivo, le fatture in precedenza emesse con la descrizione “Acconto forniture“;
- le fatture emesse quale “Acconto forniture” avevano permesso alla Società produttrice di mangimi di emettere apposite ricevute bancarie, con le quali aveva ottenuto anticipazioni finanziarie dagli Istituti di Credito ove le aveva presentate.
§ 2. Il procedimento penale a carico degli Amministratori della Società produttrice di mangimi
Ne era scaturito, quindi, un primo procedimento penale davanti al Tribunale di Ancona a carico degli Amministratori della Società produttrice di mangimi, oltre che a carico del legale rappresentante di una delle Società clienti e socie della Cooperativa.
Ai tre Amministratori della Società produttrice di mangimi (uno dei quali difeso sempre dall’Avv. Chiarini) era stato contestato il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.lg. n. 74/2000), mentre al quarto imputato il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74/2000).
Questo procedimento penale, anche all’esito dell’acquisizione di una perizia contabile prodotta dalla difesa, era stato definito in primo grado dal Tribunale di Ancona con sentenza di assoluzione per tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.
§ 3. L’avvio del procedimento penale a carico dell’Imprenditrice Agricola
Poiché tra i soci/clienti della Società produttrice di mangimi figurava anche l’azienda di una Imprenditrice Agricola con sede nel circondario del Tribunale di Urbino, gli accertamenti sono stati estesi anche a quest’ultima da parte della Guardia di Finanza locale.
All’esito degli accertamenti eseguiti, è stato ipotizzato il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74/2000).
Dall’informativa redatta dalla G.d.F., emerge che l’Imprenditrice Agricola aveva regolarmente annotato in contabilità le numerosissime fatture e relative note di credito emesse nei suoi confronti dalla Società produttrice di mangimi, e così aveva fatto pure per le relative note di credito emesse, alcune delle quali erano state registrate però nell’anno finanziario successivo a quello di emissione delle fatture medesime.
In realtà, le fatture incriminate non erano state emesse né utilizzate per operazioni inesistenti e quindi con la finalità di frodare il fisco.
La Società produttrice di mangimi era stata costituita, in forma di Cooperativa, con la finalità, tra l’altro, di produrre e commercializzare nell’interesse dei soci mangimi ed alimenti zootecnici.
L’Imprenditrice Agricola, titolare di una azienda che si occupa di un importante allevamento suinicolo, aveva aderito all’attivita della Cooperativa non certo con la finalità di evadere il fisco, bensì con l’intento di poter ottenere a prezzi calmierati un mangime di qualità corrispondente alle indicazioni dei propri consulenti veterinari.
Il ricorso da parte della Società produttrice di mangimi al sistema di emissione di fatture per “Acconto forniture” nei confronti dei propri soci rispondeva alla esigenza di procurarsi liquidità per l’acquisto della materia prima necessaria per la produzione dei mangimi che poi rivendeva a prezzi calmierati ai propri soci, e non era certo finalizzato a frodare il fisco.
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§ 4. L’istruttoria del processo a carico dell’Imprenditrice Agricola
La ricostruzione di cui sopra era stata confermata dalla deposizione del consulente di parte dell’Imprenditrice Agricola, il quale aveva altresì prodotto apposita relazione, che aveva trovato ulteriore conforto nella perizia d’ufficio esperita nell’altro procedimento penale di Ancona, e depositata dalla difesa nel fascicolo urbinate.
In sostanza, era accaduto che, nell’ambito dei numerosissimi rapporti commerciali intercorrenti, si verificava anche che la Società produttrice di mangimi, al solo fine di poter disporre della liquidità necessaria per l’acquisto delle materie prime con le quali produceva i mangimi che forniva poi ai clienti/soci:
- emetteva fatture per “Acconto forniture” e, sulla base di queste, rilasciava poi ricevute bancarie che le consentivano appunto di ottenere disponibilità finanziarie presso le varie banche con cui operava;
- acquistava quindi le materie prime per la produzione del mangime che consegnava poi ai clienti/soci;
- emetteva all’esito ulteriore fattura quando il costo del mangime consegnato superava l’importo dell’acconto per il quale aveva già emesso fattura per “Acconto fornitura“, ovvero
- emetteva nota di credito quando il costo del mangime consegnato era inferiore all’importo di cui alla già emessa fattura per “Acconto fornitura“.
Va comunque annotato, in proposito, che, siccome la consegna del mangime avveniva successivamente alle scadenze delle ricevute bancarie che avevano permesso l’approvvigionamento finanziario, la Società produttrice di mangimi altro non faceva che emettere note di credito con le quali in sostanza annullava le fatture in acconto precedentemente emesse, ed emetteva quindi nuova fattura per il mangime effettivamente consegnato.
Questa modalità operativa si era svolta abbastanza regolarmente sino a quando la Società produttrice di mangimi era entrata in crisi economica, tanto che la stessa era stata poi posta in liquidazione.
Ad ulteriore riprova della veridicità di questa prospettazione, la difesa aveva depositato, in apposito fascicolo documenti, numerosissime fatture relative agli acquisti di mangime effettuati dall’Imprenditrice Agricola nel periodo riferibile a quello contestato.
Poteva infatti rilevarsi che l’Imprenditrice Agricola aveva, nei vari anni, acquistato mangimi per rilevanti importi (oltre 3 milioni di euro).
§ 5. Le deposizioni testimoniali degli Ufficiali di P.G. della Guardia di Finanza
Ma vi era di più. Come riconosciuto dagli stessi verbalizzanti nelle loro informative e come confermato in udienza dagli Ufficiali di P.G. della Guardia di Finanza, per tutte le fatture contestate risultavano essere state emesse le relative note di credito, che l’imputata aveva regolarmente registrato in contabilità ed indicato nelle varie dichiarazioni fiscali.
La sola irregolarità contestata era data dal fatto che le note di credito per le fatture incriminate risultavano essere state registrate dalla Imprenditrice Agricola nella annualità finanziaria successiva a quella di emissione delle relative fatture.
D’altra parte, per la registrazione delle note di credito nell’annualità successiva a quella di emissione delle relative fatture non poteva essere rivolto rimprovero alcuno nei confronti dell’Imprenditrice Agricola, posto che la stessa si era limitata a registrare le note di credito quando le aveva ricevute, ossia dopo l’emissione da parte della Società produttrice di mangimi.
Solo per questo fatto era stato contestato alla Imprenditrice Agricola il reato di cui all’art. 2 del d.lg. n. 74/2000, ossia di avere utilizzato fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, al fine (si leggeva nel capo di imputazione) “di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto“.
§ 6. Insussistenza della finalità di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Già l’addebito della finalità di evadere le imposte sui redditi era da ritenere insussistente nel caso di specie, posto che l’imputata esercitava l’attività di Imprenditrice Agricola, ossia l’unica attività che secondo la legislazione vigente viene tassata sulla base della rendita catastale del fondo coltivato, a prescindere dal reddito effettivo prodotto o dalla perdita conseguita.
Ne derivava perciò che, almeno sotto il profilo delle imposte sui redditi, l’Imprenditrice non avrebbe avuto interesse alcuno ad alterare i profitti o le perdite della propria impresa, posto che per lei ciò era del tutto ininfluente per la determinazione delle imposte da corrispondere allo Stato ai fini IRPEF.
Ma anche ai fini dell’I.V.A. doveva ritenersi insussistente la contestata finalità di evadere le imposte sul valore aggiunto, posto che l’Imprenditrice Agricola aveva comunque registrato le note di credito, sebbene nell’annualità successiva a quella di emissione delle relative fatture.
Se avesse effettivamente nutrito la finalità di evadere le imposte sul valore aggiunto, l’imputata si sarebbe ben guardata dal registrare le note di credito, in considerazione del fatto che la registrazione stessa ha comunque comportato il versamento nei confronti dell’Erario dell’imposta sul valore aggiunto precedentemente non versata in ragione della fattura di riferimento.
§ 7. L’accoglimento delle ragioni della difesa e l’assoluzione dal reato di uso di fatture per operazioni inesistenti
Detta ricostruzione trovava puntuale conferma anche nelle motivazioni con le quali la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto i ricorsi proposti dalla Imprenditrice Agricola avverso gli avvisi di accertamento a lei notificati dall’Agenzia delle Entrate per questi fatti, come da sentenze depositate dalla difesa.
Per giurisprudenza ormai consolidata sul punto, affinché possa ritenersi concretizzato il delitto di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del d.lg. n. 74/2000, è indispensabile che l’agente abbia agito con dolo specifico, ossia con la finalità di evadere il fisco (recita infatti la norma che è punito chiunque: “[…] al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore agiunto, avvalendosi […]“.
Nel caso in questione, doveva perciò ritenersi che l’imputata:
- non avesse agito con la finalità di evadere le imposte sui redditi, tenendo presente che a motivo della sua qualità di Imprenditrice Agricola l’ammontare del reddito era ininfluente per la determinazione dell’entità dell’imposta ai fini IRPEF da corrispondere allo Stato;
- neppure avesse agito con la finalità di evadere le imposte sul valore aggiunto, in considerazione del fatto che le note di credito emesse per le fatture incriminate, come ammesso dagli stessi verbalizzanti sentiti in udienza, erano state comunque registrate in contabilità e, di conseguenza, l’imputata aveva comunque corrisposto allo Stato gli importi IVA delle relative fatture, sebbene nella annualità finanziaria successiva a quella di emissione delle fatture stesse (il fatto di avere registrato le note di credito nell’annualità successiva a quella di emissione delle relative fatture, solamente perché successivamente ricevute, poteva tutt’al più essere considerata una mera irregolarità formale da perseguire amministrativamente, ma di certo non penalmente rilevante).
Pertanto, nei confronti dell’Imprenditrice Agricola è stata emessa sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste.