Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024
Pignoramento immobiliare e sequestro preventivo penale
Lo Studio ha assistito con esito favorevole l’aggiudicatario di un complesso immobiliare in sede di esecuzione, nel contesto di una articolata quanto interessante vicenda giudiziale.
Su tema si segnala doverosamente la sentenza di Cass. III, 10 dicembre 2020, n. 28242, che ha affermato i seguenti principi di diritto:
“[…] l’evoluzione della disciplina sostanziale e processuale della confisca (tra cui soprattutto quella introdotta dalla razionalizzazione operata con la legge 17 ottobre 2017, n. 161) e la giurisprudenza di legittimità penale hanno chiaramente interpretato come speciale la disciplina dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (codice delle leggi antimafia), così escludendo che questa possa reputarsi invece espressione di un principio generale di prevalenza delle esigenze pubblicistiche sottese ai corrispondenti istituti in materia penale e di prevenzione.
Ne segue che, da un lato, i rapporti tra confisca e procedure esecutive civili sono regolati dal d.lgs. 159/2011 (con sostanziale prevalenza dell’istituto penalistico sui diritti reali dei terzi, che solo se di buona fede possono vedere tutelate le loro ragioni, ma in sede di procedimento di prevenzione o di esecuzione penale) esclusivamente nelle ipotesi di confisca che sono disciplinate da quello direttamente o da norme che esplicitamente vi rinviano […]; e, dall’altro, che pure a regolare i rapporti tra le tipologie di confisca diverse da quelle del d.lgs. 159/2011 (e da quelle ad esse equiparate per espressa previsione normativa) e le procedure esecutive civili si applica il principio generale della successione temporale delle
formalità nei pubblici registri)”.
Perciò, in conformità alla regola generale di cui all’art. 2915 c.c., l’opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dal fatto che la trascrizione del sequestro preventivo (ex art. 104 disp. att. c.p.p.) sia effettuata in data antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all’acquisto».
Dunque, se la trascrizione del sequestro preventiva è successiva a quella del pignoramento, il bene deve ritenersi appartenente al terzo aggiudicatario pieno iure, con conseguente impossibilità di una confisca posteriore all’acquisto.
La vicenda seguita dal nostro Studio: l’aggiudicazione dei beni immobili, la successiva scoperta dell’avvenuta trascrizione di sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p., ed infine la revoca del sequestro
In estrema sintesi, un privato aveva acquistato all’asta alcuni beni immobili di rilevante valore già oggetto di pignoramento a far data dall’anno 2008.
Sennonché, poco prima dell’emanazione del decreto di trasferimento, il professionista delegato alla vendita si era avveduto del fatto che, soltanto pochi mesi prima, altro Ufficio Giudiziario aveva ordinato e trascritto sui medesimi immobili un sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p.
Per inciso, in nessuno degli atti del procedimento di esecuzione immobiliare (ivi incluso il bando di vendita) risultava fatta menzione alcuna dell’intervenuto provvedimento di sequestro preventivo penale medio tempore emanato dal G.I.P. del diverso Tribunale.
Dopo articolate, ma decisamente celeri, vicende processuali, il sequestro preventivo è stato infine revocato, su richiesta dell’aggiudicatario (difeso dallo Studio legale Chiarini).
Le motivazioni della revoca del sequestro
Queste le argomentazioni addotte a supporto dell’istanza di dissequestro:
– il decreto di sequestro preventivo è stato emesso ai sensi dell’art. 321 comma 2 c.p.p., in relazione all’art. 240 comma 1 c.p.;
– si tratta, dunque, di sequestro delle cose di cui è consentita la confisca (art. 321 comma 2 c.p.p.), con la precisazione che la misura cautelare dovrebbe riguardare cose che rappresentino il prodotto o il profitto del reato (art. 240 comma 1 c.p.);
– non sembra, pertanto, applicabile il principio menzionato nel provvedimento di sequestro (secondo cui nella nozione di cosa pertinente al reato debbano essere ricompresi “tutti quei beni che, anche indirettamente collegati alla fattispecie criminosa, posseggano tuttavia nell’attualità una specifica e concreta strutturale strumentalità rispetto all’aggravamento delle conseguenze del reato” – così a pag. 2 decreto sequestro), che attiene invece alla differente – e non invocata dal P.M. – ipotesi di cui all’art. 321 comma 1 c.p.p.;
– si tratta, infatti, di stabilire se un bene immobile di proprietà personale dell’amministratore di società di capitali dichiarata fallita possa essere sottoposto a confisca – e, quindi, a sequestro preventivo – in relazione a reati di bancarotta che si assumano compiuti dal menzionato amministratore;
– sotto questo profilo, invero, si tratterebbe di cd. confisca per equivalente, atteso che l’immobile in questione non rappresenta evidentemente il prodotto e/o il profitto dei reati di bancarotta (cfr. a tal proposito Cass. pen. S.U. 27 marzo 2008, n. 26654: “Ai fini della confìsca, il “profitto” del reato cui fa riferimento il comma 1 dell’art. 240 c.p. va identificato “con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” e si contrappone al “prodotto” e al “prezzo” del reato: il prodotto è il risultato empirico dell’illecito, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato; il prezzo va individuato nel compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito. Carattere onnicomprensivo si attribuisce – poi – alla locuzione “provento” del reato, che ricomprende “tutto ciò che deriva dalla commissione del reato” e, quindi, le diverse nozioni di “prodotto”, “profìtto” e “prezzo””);
– ciò è confermato, del resto, dal fatto che il provvedimento di sequestro non identifica i beni destinatari della cautela, ma indica soltanto l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere è stata effettuata in sede esecutiva dal P.M. (conformemente a quanto precisato da Cass. pen. III, 12 luglio 2012, n. 10567: “Il presupposto e la stessa ragion d’essere del sequestro per valore funzionale alla confisca per equivalente, risiedono nel fatto che quel prezzo o profitto non sia rinvenuto e tale circostanza autorizza lo spostamento della misura cautelare dal bene costituente prezzo o profitto del reato ad altro di valore equivalente ricadente sempre nella libera disponibilità dell’indagato. Per cui deve ritenersi estraneo all’ambito del sequestro preventivo di valore il presupposto della individuazione dei beni destinatari del provvedimento. Il giudice del sequestro è solo tenuto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, esulando dalle sue competenze l’indicazione dei singoli beni sui quali il sequestro ricade e del loro valore. L’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore con il quantum indicato nel sequestro, è riservata alla fase esecutiva demandata al p.m.”);
– tuttavia, la confisca cd. per equivalente non è ammissibile per i reati fallimentari di cui agli artt. 216 ss. L.F., essendo invece prevista soltanto per puntuali ed eccezionali ipotesi, quali a titolo esemplificativo:
— reati tributari (v. art. 1 comma 143 legge 244/2007);
— illeciti di cui agli artt. 2621 ss. c.c. (v. art. 2641 comma 2 c.c.);
— responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (v. art. 19 d.lg. 231/2001);
— delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. (v. art. 322 ter c.p.);
— delitti di cui agli artt. 640 bis e 640 ter c.p. (v. art. 640 quater c.p.);
– è appena il caso di precisare che siffatte norme, in quanto eccezionali, non possono essere oggetto di interpretazione analogica (cfr. art. 14 disp. prel. c.c.);
– ad ogni modo, nel caso de quo difetterebbe il presupposto stesso di cui all’art. 321 comma 1 c.p.p. relativo alla “libera disponibilità” del bene in capo al reo (si v. Cass. pen. II, 29 settembre 2010, n. 37130. “Presupposto del sequestro preventivo è il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito penale oppure agevolare la reiterazione della condotta delittuosa”;
– infatti, il pignoramento attuato sin dall’anno 2008 ed il conseguente procedimento di esecuzione immobiliare pendente davanti al Tribunale di Urbino (con contestuale nomina di custode giudiziario) hanno avuto proprio il precipuo effetto di privare il proprietario di qualsivoglia facoltà dispositiva sull’immobile (cfr. artt. 2912 ss. c.c.);
– peraltro, tra le persone danneggiate dai reati di bancarotta commessi dallo Sgaggi rientrano proprio i creditori che stanno agendo in sede esecutiva davanti al Tribunale di Urbino, i quali subirebbero ingente danno dalla permanenza del sequestro preventivo anziché essere da questo tutelati;
– in ogni caso, giova rammentare come l’aggiudicatario sia persona totalmente estranea al reato (mero acquirente all’asta di un bene immobile). Nei suoi confronti, pertanto, non può essere disposta la confisca ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 240 c.p., quale “soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – il rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato” (così Cass. pen. I, 17 giugno 2011, n. 29197);
– infine, va ribadito che il sequestro preventivo è stato trascritto il 28/02/2013, ovverosia molto tempo dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare (24/07/2008), rivelandosi dunque inefficace ai sensi degli artt. 2912 ss. c.c., a mente dei quali “non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante atti che importino vincoli di indisponibilità dei beni, se non sono stati trascritti prima del pignoramento” (art. 2915 c.c.);
– né possono trovare alcuna applicazione analogica le disposizioni – al contempo speciali ed eccezionali – contenute nel Codice delle leggi antimafia di cui al d.lg. 159/2011.