Risarcimento danni per morte in ospedale

Risarcimento danni per morte in ospedale, ottenuti 750.000 €

Ultimo Aggiornamento 4 Febbraio 2025

La morte di un paziente in ospedale è sempre un evento doloroso e traumatico per i familiari. Quando poi il decesso avviene per cause inaspettate o potenzialmente evitabili, al dolore si aggiunge spesso un desiderio di verità e giustizia.

È il caso che andremo ad analizzare in questo articolo: quello di un uomo di 77 anni deceduto a causa di una grave infezione contratta durante un ricovero ospedaliero. Grazie all’assistenza legale dell’avvocato Gabriele Chiarini e dei suoi collaboratori, i familiari del paziente sono riusciti a ottenere un maxi risarcimento danni di 750.000 euro per il decesso del congiunto in ospedale.

Il Giudice ha infatti riconosciuto la responsabilità della struttura ospedaliera, una casa di cura privata romana, per non aver adottato le necessarie misure di prevenzione delle infezioni nosocomiali. L’infezione post-operatoria che ha causato la morte del paziente, secondo il tribunale, poteva e doveva essere evitata.

Come accertare la responsabilità dell’ospedale in caso di morte sospetta

Quando si verifica un decesso inaspettato in ospedale, i familiari spesso si interrogano su eventuali responsabilità di medici e strutture sanitarie. Per ottenere un risarcimento danni per morte in ospedale, infatti, è necessario dimostrare che il decesso è stato causato da errori o negligenze dei sanitari.

L’acquisizione della cartella clinica e degli esami diagnostici

Il primo passo per fare chiarezza sulle cause della morte è richiedere copia della cartella clinica e degli esami diagnostici effettuati durante il ricovero. Questi documenti rappresentano la base per una valutazione medico-legale dell’operato dei sanitari.

La consulenza medico-legale di parte

Per valutare se sussistono i presupposti per un risarcimento danni da morte in ospedale, è opportuno rivolgersi a un medico legale. Il professionista analizzerà la documentazione clinica per individuare eventuali errori diagnostici o terapeutici, omissioni o ritardi nelle cure.

Se emergono profili di responsabilità a carico dei sanitari, il medico legale redigerà una relazione tecnica che potrà essere utilizzata per avviare un procedimento giudiziale o una trattativa stragiudiziale con l’ospedale.

L’accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c.

In caso di decesso sospetto in ospedale, i familiari possono promuovere un accertamento tecnico preventivo (ATP) ai sensi dell’art. 696 bis del codice di procedura civile. Si tratta di un procedimento volto a verificare, prima dell’instaurazione di una causa di merito, la sussistenza di condotte negligenti o imprudenti da parte dei sanitari e il nesso di causalità con l’evento lesivo.

La legge Gelli-Bianco ha valorizzato questo strumento processuale, prevedendo che la partecipazione al procedimento di ATP costituisca condizione di procedibilità della domanda di risarcimento. In altri termini, prima di promuovere una causa civile contro l’ospedale, i familiari devono necessariamente esperire un tentativo di conciliazione in sede di ATP.

Il Giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio (CTU), solitamente un medico legale, che deve essere affiancato dallopsecialista di branca, per svolgere gli accertamenti necessari in contraddittorio con i consulenti di parte. Se la CTU accerta responsabilità in capo all’ospedale, le parti possono accordarsi per un risarcimento del danno attraverso una composizione stragiudiziale. Solo in caso di mancato accordo, le parti possono proseguire il giudizio instaurando una causa di merito.

Nel caso in esame, i familiari del paziente deceduto – fallito un previo tentativo di mediazione – hanno promosso un ATP ex art. 696 bis c.p.c. davanti al Tribunale di Roma. Il Giudice ha nominato un medico legale e uno specialista in igiene e medicina preventiva come consulenti tecnici d’ufficio (CTU) per accertare le cause del decesso e le eventuali responsabilità della struttura sanitaria.

I CTU hanno svolto indagini approfondite, esaminando la documentazione clinica ed espletando accertamenti tecnici in contraddittorio con i consulenti di parte. All’esito delle operazioni peritali, hanno confermato la sussistenza di condotte negligenti ed imprudenti da parte dell’ospedale, che hanno causato l’insorgenza dell’infezione letale.

In particolare, i consulenti hanno evidenziato una sottovalutazione del rischio infettivo, l’inadeguatezza delle terapie antibiotiche somministrate, la mancanza di un appropriato monitoraggio delle condizioni del paziente e il ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell’infezione in atto.

La relazione di CTU ha quindi fornito un solido supporto tecnico alla domanda di risarcimento danni per morte in ospedale avanzata dai familiari. Ha confermato, in altri termini, la responsabilità della struttura sanitaria per l’evento infausto e il nesso eziologico tra le condotte dei medici e il decesso del paziente.

La prova del nesso di causalità in caso di morte in ospedale

Per ottenere un risarcimento per morte in ospedale, non basta dimostrare che i medici hanno commesso errori o sono stati negligenti. Occorre provare che tali condotte sono state la causa o hanno contribuito al verificarsi del decesso.

In altri termini, è necessario accertare che, senza le condotte negligenti o imprudenti dei sanitari, il paziente non sarebbe morto o avrebbe avuto significative possibilità di sopravvivenza. A tal fine sono spesso necessari accertamenti medico-legali e indagini dei consulenti tecnici per verificare il nesso eziologico tra la condotta dei medici e l’evento infausto.

Anche in assenza di errori macroscopici o grossolani, l’ospedale può essere ritenuto responsabile per il decesso se non ha adottato tutte le misure preventive e precauzionali idonee a evitare eventi avversi prevedibili e prevenibili, come le infezioni ospedaliere.

Le infezioni ospedaliere come fonte di responsabilità: il caso del sig. Ottavio

Nel caso di specie, il sig. Ottavio, 77 anni, è deceduto a causa di una grave infezione nosocomiale contratta durante un intervento di cardiochirurgia presso una casa di cura privata romana. Si tratta di una vicenda che ben esemplifica come le infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA) rappresentino una delle principali fonti di responsabilità per le strutture ospedaliere.

Le ICA, note anche come infezioni ospedaliere, sono quelle infezioni che i pazienti contraggono durante la degenza o le cure mediche, e che possono causare gravi danni alla salute o persino la morte, come purtroppo avvenuto nel caso del sig. Ottavio.

La prevedibilità e l’evitabilità delle infezioni nosocomiali

Contrariamente a un diffuso luogo comune, le infezioni ospedaliere non sono una fatalità inevitabile o una mera “complicanza” dell’attività sanitaria. Secondo la letteratura scientifica, nazionale e internazionale, almeno il 50-60% delle ICA può essere prevenuto attraverso l’adozione di adeguate misure igieniche e protocolli di sterilizzazione.

Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, le infezioni nosocomiali sono prevedibili ed evitabili, e come tali possono fondare una responsabilità della struttura ospedaliera per i danni subiti dal paziente. L’ospedale, infatti, ha il dovere di adottare tutte le misure idonee a prevenire il rischio infettivo, garantendo la sterilità degli ambienti, del personale e delle attrezzature.

Nel caso del sig. Ottavio, la CTU espletata ha accertato diverse carenze nella prevenzione e nel controllo delle infezioni da parte della casa di cura, quali l’inadeguata profilassi antibiotica, la mancata medicazione della ferita chirurgica, il ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell’infezione. Omissioni che hanno portato allo sviluppo di una grave sepsi da Pseudomonas aeruginosa, poi sfociata nel decesso del paziente.

La distinzione tra complicanza inevitabile e complicanza evitabile

In ambito giuridico, il concetto di “complicanza” non può essere utilizzato per escludere automaticamente la responsabilità dell’ospedale in caso di infezioni nosocomiali. Non basta, cioè, che l’infezione sia statisticamente annoverata tra le possibili complicanze di un determinato trattamento per esonerare la struttura da responsabilità.

Ciò che rileva, invece, è accertare se l’infezione era prevedibile ed evitabile nel caso concreto, alla luce delle condizioni cliniche del paziente e delle specifiche modalità di esecuzione del trattamento. Se la risposta è affermativa, l’ospedale risponde dei danni causati dall’infezione, anche se questa rientra astrattamente nel novero delle complicanze associate a quel tipo di intervento.

Viceversa, se l’infezione non era prevedibile né evitabile nonostante l’adozione di tutte le cautele del caso, potrà considerarsi una “causa non imputabile” ex art. 1218 c.c., con esclusione della responsabilità della struttura sanitaria.

Nel caso di specie, la CTU ha evidenziato come l’infezione contratta dal sig. Ottavio fosse ampiamente prevedibile ed evitabile, alla luce delle sue condizioni di particolare vulnerabilità (età avanzata, patologie cardiache) e del tipo di intervento praticato. Ciononostante, la casa di cura non ha adottato le necessarie misure preventive, esponendo il paziente a un elevato rischio infettivo poi concretizzatosi con esito letale. Da qui, il riconoscimento della responsabilità della struttura e del suo obbligo risarcitorio nei confronti dei familiari.

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Chi ha diritto al risarcimento del danno da morte in ospedale

Quando un paziente muore in ospedale, il diritto al risarcimento del danno spetta a due categorie di soggetti: i familiari della vittima e gli eredi.

I familiari hanno diritto iure proprio al risarcimento del danno parentale, cioè del pregiudizio non patrimoniale sofferto per la perdita del congiunto e del relativo rapporto affettivo. Per i prossimi congiunti (coniuge, figli, genitori, fratelli) tale danno si presume, mentre per gli altri familiari deve essere provato caso per caso.

Gli eredi, invece, succedono iure successionis nella titolarità dei danni subiti dal defunto prima di morire, quali il danno biologico terminale, il danno morale e gli eventuali pregiudizi patrimoniali. Tali danni si trasmettono agli eredi secondo le quote ereditarie.

Anche il convivente more uxorio può ottenere il risarcimento del danno parentale, a condizione che dimostri l’esistenza di un legame affettivo stabile e duraturo con il defunto, caratterizzato dalla condivisione di un progetto di vita comune.

I criteri di liquidazione del danno parentale

I principali parametri utilizzati dai giudici per quantificare il danno parentale sono:

  • il grado di parentela tra il defunto e il familiare richiedente (coniuge, figlio, genitore, fratello, ecc.);
  • l’età della vittima al momento della morte e quella del superstite;
  • l’intensità del legame affettivo e la continuità della frequentazione tra il defunto e il familiare;
  • la convivenza o meno tra il defunto e il superstite al momento della morte;
  • le condizioni di salute del familiare superstite e l’eventuale suo stato di particolare bisogno o vulnerabilità;
  • il contesto familiare in cui si inseriva il rapporto con la persona deceduta.

Sulla base di questi elementi, il giudice determina l’ammontare del risarcimento dovuto a ciascun familiare, applicando le tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale elaborate dagli uffici giudiziari.

L’applicazione delle Tabelle di Milano e di Roma

Le tabelle più utilizzate per la liquidazione del danno parentale sono quelle del Tribunale di Milano e del Tribunale di Roma, che individuano un valore monetario «base» del pregiudizio sofferto dal familiare in funzione del grado di parentela e dell’età della vittima.

Tale valore viene poi personalizzato dal giudice attraverso l’applicazione di percentuali di aumento o diminuzione in relazione alle circostanze del caso concreto (convivenza, intensità del legame, contesto familiare, ecc.).

Su impulso della Suprema Corte di Cassazione, sono stati progressivamente abbandonati i sistemi tabellari che prevedevano forbici di liquidazione piuttosto ampie tra il minimo e il massimo, lasciando al giudice un significativo margine di discrezionalità nell’adeguare il risarcimento alle peculiarità della fattispecie.

Oggigiorno, sia le Tabelle di Milano sia quelle di Roma adottano il cosiddetto sistema a punto variabile, che assegna specifici punteggi alle varie circostanze rilevanti (convivenza, genitore single, figlio minore, ecc.) e consente di quantificare in modo più preciso e prevedibile il risarcimento spettante a ciascun familiare.

La quantificazione del risarcimento nel caso specifico

Nel caso di Ottavio, deceduto a causa di un’infezione nosocomiale contratta durante un intervento di cardiochirurgia, il Giudice ha formulato una proposta di conciliazione che riconosce ai familiari del defunto un risarcimento complessivo di 750.000 euro.

Tale importo è stato determinato sulla base delle Tabelle di Roma del 2018, vigenti pro tempore, per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, ritenute le più idonee a garantire una corretta e prevedibile personalizzazione del pregiudizio in relazione alle circostanze del caso concreto.

L’ammontare complessivo del risarcimento: 750.000 euro

La somma di 750.000 euro rappresenta il risarcimento integrale del danno parentale subito dai congiunti del paziente deceduto, quantificato in via equitativa dal Giudice tenendo conto di tutte le variabili rilevanti, quali:

  • l’età della vittima al momento della morte (77 anni);
  • il grado di parentela dei superstiti (coniuge, figli);
  • la convivenza o meno con il defunto;
  • l’intensità del legame affettivo che caratterizzava i rapporti familiari.

Si tratta di un risarcimento significativo, che testimonia la gravità della perdita subita dai congiunti e l’elevato valore attribuito dalle Tabelle romane alla lesione del rapporto parentale, soprattutto con riguardo al coniuge e alla figlia convivente.

La suddivisione tra i familiari del defunto

Il Giudice ha suddiviso l’importo complessivo del risarcimento tra i familiari del paziente deceduto in base ai criteri di ripartizione previsti dalle Tabelle di Roma, che tengono conto del diverso impatto della perdita del congiunto a seconda del rapporto di parentela e della convivenza.

Nello specifico, il risarcimento è stato così ripartito:

  • € 290.000 alla moglie convivente;
  • € 250.000 alla figlia convivente;
  • € 210.000 al figlio non convivente.

Come si può notare, alla moglie è stata riconosciuta la somma più elevata (€ 290.000), in considerazione del fatto che la perdita del coniuge rappresenta uno dei pregiudizi più gravi nell’ambito dei danni parentali, comportando un radicale sconvolgimento delle abitudini di vita e delle prospettive future.

Anche alla figlia convivente è stato liquidato un importo molto significativo (€ 250.000), trattandosi di un rapporto connotato da quotidianità e comunanza di vita con il genitore venuto a mancare.

Al figlio non convivente, invece, è stata riconosciuta una somma inferiore (€ 210.000), seppur sempre cospicua, parametrata al minor impatto della perdita del padre con cui non si condivideva il tetto domestico.

L’applicazione delle Tabelle di Roma per la personalizzazione del danno

La scelta del Giudice di applicare le Tabelle di Roma per la quantificazione del danno parentale appare condivisibile e in linea con i più recenti orientamenti della Cassazione, che ha espresso una preferenza per il sistema “a punto variabile” adottato dal Tribunale capitolino.

Tale sistema, a differenza di quello milanese basato su mere “forbici” di liquidazione, consente di ancorare il risarcimento a criteri predeterminati e oggettivi, individuando specifiche variabili (rapporto di parentela, convivenza, età della vittima, ecc.) e attribuendo a ciascuna di esse un punteggio prestabilito.

L’ammontare del danno viene quindi calcolato moltiplicando il valore del punto (desunto dalle liquidazioni giurisprudenziali) per il punteggio totale ottenuto dalla somma delle variabili considerate, con la possibilità di apportare variazioni in aumento o diminuzione in relazione alle peculiarità del caso.

Si tratta di un metodo che garantisce al tempo stesso uniformità e adeguatezza del risarcimento, consentendo di “personalizzare” l’importo sulla base delle circostanze concrete senza dar luogo a disparità di trattamento o a liquidazioni meramente intuitive.

Nel caso di specie, le Tabelle di Roma hanno permesso di riconoscere ai familiari del paziente deceduto un risarcimento del danno parentale proporzionato all’entità della perdita e idoneo a ristorare, per quanto possibile, il grave pregiudizio esistenziale da essi subito.

Considerazioni finali

La morte di un paziente in ospedale è sempre un evento doloroso e traumatico per i familiari, che si trovano ad affrontare non solo il lutto per la perdita del proprio caro, ma anche un complesso percorso di ricerca della verità e di accesso alla giustizia.

Abbiamo visto come, in caso di decesso per cause potenzialmente evitabili, come errori medici o infezioni ospedaliere, sia fondamentale fare chiarezza sull’accaduto attraverso un’attenta analisi della documentazione clinica e l’ausilio di consulenti medico-legali esperti.

Solo così è possibile accertare eventuali profili di responsabilità della struttura sanitaria e dei medici coinvolti, individuando le condotte negligenti, imprudenti o imperite che hanno causato o contribuito al verificarsi dell’evento infausto.

Una volta appurata la sussistenza di una responsabilità medica, i congiunti del paziente deceduto hanno diritto ad ottenere un equo risarcimento del danno parentale subito, oltre che degli eventuali pregiudizi patrimoniali conseguenti alla perdita del familiare.

Tale diritto può essere esercitato sia in sede stragiudiziale, attraverso una richiesta risarcitoria diretta all’ospedale, sia in sede giudiziale, instaurando una causa civile per il riconoscimento del danno.

In entrambi i casi, è consigliabile affidarsi all’assistenza di un avvocato specializzato in responsabilità sanitaria, che sappia guidare i familiari nell’accertamento delle cause del decesso e nella quantificazione e rivendicazione dei danni subiti.

Un legale esperto in materia potrà valutare la sussistenza dei presupposti per un risarcimento, indicare le iniziative più opportune da intraprendere (accertamento tecnico preventivo, ATP ex art. 696 bis c.p.c., mediazione, causa di merito), e assistere i congiunti nel complesso iter di un procedimento per medical malpractice.

Inoltre, potrà interfacciarsi con la compagnia assicurativa dell’ospedale per negoziare un giusto indennizzo in via bonaria, o – in caso di mancato accordo – promuovere un’azione giudiziale per il riconoscimento delle responsabilità e la condanna della struttura al risarcimento del danno.

La morte è una ladra che non si presenta mai di sorpresa.

Oriana Fallaci