Ultimo Aggiornamento 30 Settembre 2024
Poco più che ventenni, Agata e Luca (nomi di fantasia, per proteggere l’identità dei veri protagonisti) immaginavano un futuro felice e una famiglia numerosa. Purtroppo questo sogno si è tragicamente infranto a causa di un errore nell’esecuzione di un parto con ventosa, che ha provocato danni cerebrali irreversibili al loro neonato, che qui chiameremo Filippo (nome altrettanto modificato).
Durante il travaglio, a causa di gravi errori di valutazione, di metodo e di tempistica, i medici hanno scelto di utilizzare impropriamente la ventosa ostetrica in sala parto, anziché procedere con un parto cesareo d’urgenza, ed hanno interpretato in modo erroneo le risultanze della cardiotocografia (CTG), lasciando maturare una condizione di asfissia fetale.
Nessun importo, per quanto generoso e giusto, potrà mai compensare il dolore e le difficoltà che Filippo e i suoi genitori sono destinati ad affrontare: questo caso di malasanità ha stravolto per sempre le loro vite e le loro prospettive. Ma il risarcimento di due milioni di euro – ottenuto dall’avv. Gabriele Chiarini nel contesto di un accertamento tecnico preventivo (ATP) – consentirà di lenire, almeno in parte, le sofferenze di questa giovane famiglia, assicurando ai suoi componenti un futuro di sicurezza economica e una qualità di vita il più possibile dignitosa e confortevole.
§ 1. Errori in sala parto: un po’ di contesto
Gli errori in sala parto possono avere gravi conseguenze sia per la madre sia per il bambino. Alcuni errori comuni includono la diagnosi errata di condizioni prenatali, il mancato monitoraggio della madre e del bambino durante il travaglio o il parto, l’uso improprio del forcipe o – come nel caso di cui parliamo oggi – della ventosa ostetrica.
Questi errori possono provocare lesioni come danni cerebrali, danni ai nervi e fratture, oltre a condizioni più gravi come la paralisi cerebrale e la paralisi di Erb. In alcuni casi, possono portare alla morte della madre o del bambino.
In Italia, il numero di denunce per errori al momento di partorire è notevolmente diminuito nel corso degli ultimi anni, grazie anche a una maggiore concentrazione delle sale parto e all’attuazione di oculate politiche di gestione del rischio clinico. Tuttavia, gli errori possono ancora verificarsi, come purtroppo è accaduto nel nostro caso.
Ventosa ostetrica: di cosa si tratta e quando si usa
La ventosa ostetrica è uno strumento utilizzato durante il parto in situazioni difficili, per assistere gli operatori nella nascita del bambino.
Inventato dal medico svedese Tage Malmström nel 1953, questo dispositivo funziona tramite aspirazione: una piccola coppetta di materiale gommoso viene applicata sulla testa del feto, all’interno della vagina materna, e collegata a un aspiratore che crea un vuoto, facilitando così l’estrazione del bambino.
Per usare la ventosa, è fondamentale che:
- la dilatazione cervicale sia completa,
- il feto sia in posizione cefalica corretta,
- sia riconoscibile la posizione della testa fetale e siano, quindi, individuabili la sutura sagittale e la posizione della piccola fontanella,
- il personale medico sia esperto e qualificato.
La terza e la quarta condizione di questo elenco non sono state rispettate nel nostro caso.
In effetti, se utilizzata correttamente, la ventosa non comporta rischi particolari e non richiede anestesia. Le conseguenze più comuni, seppur rare, possono includere ematomi sulla testa, sanguinamento negli occhi, distocia di spalla o ittero.
Se invece la si usa nei tempi e nei modi scorretti, le conseguenze possono essere devastanti.
§ 2. Cronaca di un grave errore nell’uso della ventosa: i fatti
Siamo nel 2020. Agata, nel pieno dei suoi venticinque anni, è raggiante all’idea di diventare presto madre, così come il giovane padre Luca non vede l’ora di tenere fra le proprie braccia il piccolo Filippo. La gravidanza procede bene e Agata, a febbraio, viene ricoverata in seguito a rottura delle acque. È alla 41esima settimana di gestazione.
Inizialmente i dati di mamma e bambino sono normali e la paziente viene correttamente seguita dall’ostetrica, in attesa di partorire con l’insorgenza spontanea del travaglio attivo.
Tuttavia, dopo qualche ora, si rendono evidenti alcuni segnali di allarme: i tracciati della cardiotocografia (CTG), un test che monitora il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine, non sono più come quelli registrati all’ingresso. Sembrano suggerire la presenza di una ipossia a sviluppo progressivo, la cui evoluzione deve essere monitorata attentamente.
Da quel momento, infatti, il travaglio diviene “a rischio” e, in quanto tale, necessita di attenta supervisione medica.
Ma nessun medico viene allertato.
I segnali di infezione ignorati
Passa ancora del tempo e il travaglio non progredisce. Gli operatori decidono di somministrare ossitocina, per stimolare le contrazioni uterine.
I battiti del bambino si fanno sempre più veloci. La temperatura corporea della madre aumenta.
C’è un rischio concreto di infezione intraamniotica (IAI), che amplifica la probabilità di danno neurologico fetale, soprattutto se intervengono momenti di ipossia collegati alle condizioni del travaglio o ad altri eventi che influiscono negativamente sulla ossigenazione.
Eppure, inspiegabilmente, non emerge dalla cartella clinica la presenza di una supervisione medica in queste ore.
L’errore nella interpretazione della CTG
A un certo punto, la paziente si sposta e la registrazione cardiotocografica cambia focolaio: inizia a registrare il battito cardiaco della madre invece di quello del feto. Nessuno sembra accorgersene.
Da questo momento, quindi, non esistono più informazioni sulla condizione del bambino, che stava progressivamente entrando in uno stato di mancanza di ossigeno (ipossiemia/ipossia/asfissia), determinato dalle condizioni cliniche in cui veniva gestito quel travaglio.
Solo mezz’ora più tardi, rendendosi evidentemente conto di essere davanti a un parto distocico, l’ostetrica si decide, finalmente, a chiedere l’intervento medico.
La decisione di ricorrere al parto con ventosa ostetrica
Trascorse molte ore di spinte senza successo, il ginecologo allertato non si avvede dell’errore di registrazione della CTG ed opta per un parto vaginale operativo: decide di provare a far nascere il bambino con l’ausilio della ventosa ostetrica.
Non uno, non due, ma tre tentativi di estrazione con la ventosa falliscono. Il bambino è così sottoposto a un ulteriore stress ipossico e traumatico, che si aggiunge alla sua condizione preesistente, già di parziale squilibrio ossigenativo.
Si procede al parto con taglio cesareo d’urgenza, ma ormai è tardi.
Il neonato riporta gravissime lesioni cerebrali, inequivocabilmente provocate anche dai ripetuti, non dovuti ed impropri tentativi di estrarlo con la ventosa, nonché dal tardivo ricorso al cesareo.
Le condizioni del neonato
Alla nascita, il piccolo Filippo è asfittico e cianotico, con assenza del battito cardiaco. Non respira e il suo indice APGAR è di 2/6/6, rispettivamente a 1/5/10 minuti di vita.
Viene rianimato dai medici e ricoverato per varie problematiche, tra cui distress respiratorio, ipotonia e dipendenza dall’ossigeno.
Presenta un grosso ematoma cranico, dovuto ai ripetuti tentativi di estrazione con la ventosa ostetrica, concentrato peraltro in zona frontale, a dimostrazione del fatto che la ventosa non fu correttamente applicata sull’occipite, dove avrebbe invece potuto fare presa. Vengono riscontrate anche escoriazioni al volto, emorragie retiniche ed ecchimosi alle palpebre.
Si rendono evidenti i segni di una infezione maturata all’interno del sacco amniotico, che viene efficacemente trattata con antibiotici. Dopo la nascita, diventa necessario trasferirlo in un reparto di neonatologia specializzato per proseguire le cure.
Il percorso clinico di Filippo
Il suo iter clinico è stato pieno di complicazioni e, purtroppo, oggi vive con le conseguenze di una paralisi cerebrale infantile. Questa condizione gli causa gravi problemi di movimento e di apprendimento, scoliosi ed estrema difficoltà nel deglutire.
Per aiutarlo a nutrirsi, i medici stanno considerando l’ipotesi di una gastrostomia endoscopica percutanea, cioè di inserire un tubo attraverso la pancia che gli permetterà di ricevere cibo, liquidi e medicine direttamente nello stomaco, facilitando l’alimentazione e la cura quotidiana.
Il bambino necessita di assistenza medica specialistica ed ha iniziato a seguire diversi percorsi riabilitativi neurologici, oftalmologici e fisiatrici.
§ 3. Che impatto hanno avuto questi errori nell’uso della ventosa
Le condizioni di disabilità di Filippo richiedono un’assistenza continua da parte dei genitori.
La madre, esaurito il congedo parentale, ha dovuto lasciare il lavoro di impiegata amministrativa per potersi dedicare completamente all’assistenza del figlio. Il padre, piccolo imprenditore, ha giocoforza trascurato per lungo tempo la gestione della sua azienda, che ha fortunatamente resistito grazie al supporto di validi e fidati collaboratori.
Vista l’esperienza positiva in un centro riabilitativo lontano da casa e dalle famiglie di origine, Agata e Luca hanno deciso di trasferirsi, almeno temporaneamente, fuori regione, per garantire la continuità del percorso riabilitativo di Filippo.
In sintesi: i genitori hanno compiuto enormi sacrifici personali, lavorativi ed economici, compreso un trasferimento di residenza, pur di assicurare al figlio le migliori cure e l’assistenza specialistica continua di cui Filippo ha bisogno per le gravi disabilità residue.
§ 4. L’analisi medico legale e specialistica
Dal punto di vista medico legale e specialistico (ginecologico-ostetrico), gli errori commessi sono stati tanti e tali da non lasciare residuare alcun dubbio sull’impegno di responsabilità sanitaria.
In questo caso sono verosimilmente ravvisabili tutte le fattispecie della colpa generica: negligenza, imperizia e imprudenza.
Gli errori commessi
Secondo l’analisi tecnica, durante il travaglio emersero diversi segnali preoccupanti, non adeguatamente gestiti dai sanitari. Nonostante la presenza di tachicardia fetale e temperatura febbrile materna, indici di possibile sepsi neonatale e sofferenza fetale, gli operatori non presero le dovute contromisure per scongiurare tali rischi.
Inoltre, quando si decise di procedere con il parto operativo mediante ventosa ostetrica, vennero violate diverse condizioni necessarie:
- La testa del feto non era impegnata nella piccola pelvi, trovandosi 2 cm sopra il piano delle spine ischiatiche, una condizione non idonea per l’applicazione della ventosa;
- Non fu correttamente individuata la posizione fetale, rendendo impossibile il parto vaginale spontaneo;
- La ventosa venne applicata in modo scorretto sulla fronte anziché sull’occipite, causando gravi traumi ed ematomi in quella sede;
- Si insistette poi con tre tentativi di estrazione prolungati, oltrepassando i limiti di tempo massimi previsti in caso di sofferenza fetale;
- Non risulta fossero presenti il pediatra/neonatologo, né che fosse stata allertata la sala operatoria per un potenziale taglio cesareo d’urgenza;
- Infine, non è noto se l’operatore che utilizzò la ventosa fosse realmente esperto in quella procedura.
Questo comportò gravissime lesioni cerebrali al neonato, sia per il trauma diretto dei tentativi di estrazione sia per l’asfissia subita, con emorragie cerebrali, deformità cranica, acidosi metabolica e necessità di rianimazione alla nascita.
Le conclusioni dei consulenti non lasciano dubbi: il ritardo nell’eseguire il taglio cesareo d’urgenza, unica soluzione corretta considerata la presentazione fetale, compromise irrimediabilmente le condizioni del neonato.
Le conseguenze derivate dall’uso errato della ventosa nel parto
Secondo il medico legale, Filippo si trova in uno stato di dipendenza totale dall’assistenza altrui per tutte le attività quotidiane, non essendo in grado né di camminare né di mantenere la posizione seduta senza l’uso di un tutore, e con capacità manuale quasi inesistente.
Dato il carattere evolutivo della sua condizione a causa della giovane età, è previsto che il percorso di crescita sia lungo e impegnativo fino al raggiungimento della maturazione psicofisica completa.
Tuttavia, è altamente improbabile che si verifichino miglioramenti significativi; anzi, l’accrescimento fisico potrebbe portare a ulteriori complicazioni, come deformazioni del rachide e difficoltà crescenti nella gestione assistenziale da parte dei genitori. Il deficit cognitivo diventerà sempre più evidente, e persiste l’incertezza riguardo alla sindrome epilettica che lo affligge.
Si può quindi prevedere, con criterio di ragionevole certezza, che abbisognerà per il resto della sua esistenza di assistenza continua.
Il danno biologico e gli altri pregiudizi
Considerando le linee guida per la valutazione del danno alla persona in ambito civilistico, in riferimento sia alla valutazione del danno in età evolutiva, sia al danno delle funzioni neurologiche centrali, si può ragionevolmente ritenere che il danno permanente biologico non sia inferiore al 95% (novantacinquepercento), dovendosi peraltro quasi augurare che la gravità del deficit cognitivo sia tale da evitare almeno al bambino, futuro uomo, la consapevolezza del proprio stato e quindi l’inevitabile gravissima sofferenza morale.
Ma non è tutto.
Causa l’accrescimento fisico, si renderanno necessari costosi interventi edilizi di abbattimento delle barriere architettoniche, nelle abitazioni che occuperà, così come numerose dotazioni di tutori ed ausili per il contenimento delle deformazioni vertebrali, per le posture e la movimentazione, supporti informatici per la stimolazione dell’apprendimento, sostegno delle eventuali residue capacità intellettive e per la domotica. Sarà anche necessaria una continuativa fisioterapia di mantenimento, soprattutto in acqua.
L’invecchiamento dei genitori solleverà altresì la questione dell’eventuale istituzionalizzazione di Filippo e dei relativi costi.
Infine, non si può trascurare il peso che la vicenda ha giocato ed ancor più continuerà a giocare sull’equilibrio psicologico dei genitori, con conseguente opportunità di presa in carico psicoterapeutica.
Così come il più delle volte accade, in casi analoghi, inizialmente la totale monopolizzazione delle proprie risorse psicofisiche sulle esigenze del figlio svolge paradossalmente una sorta di effetto barriera nei confronti dello stress. Effetto che, però, tende ad esaurirsi, col sopraggiungere della dura realtà quotidiana e che molto difficilmente non sortirà i suoi effetti negativi sulla salute psichica dei genitori, vista anche la giovane età.
§ 5. Come si è arrivati al risarcimento
Desiderando fare chiarezza sulla vicenda clinica del piccolo Filippo, per comprendere se quanto accaduto fosse il risultato di un evento imponderabile o, piuttosto, di un episodio di malasanità, Agata e Luca si sono rivolti al nostro studio.
Abbiamo quindi effettuato doverosi approfondimenti tecnici con il nostro collegio di valutazione, composto in questo caso dal medico-legale e dallo specialista in ginecologia-ostetricia, con il supporto esterno dell’infettivologo e del pediatra intensivista neonatale. Ne è emerso, ben presto, un quadro di assoluta conferma di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità sanitaria.
Dopo una breve interlocuzione stragiudiziale, considerata la gravità del caso, abbiamo ritenuto necessario procedere celermente con la richiesta giudiziale di espletamento di una consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. (cd. ATP conciliativo).
L’utilizzo di questo strumento processuale, già considerato ammissibile dalla maggior parte delle corti di merito per questo genere di controversie, è stato reso obbligatorio dall’articolo 8 della legge Gelli (n. 24 del 2017). Questa norma prevede infatti che, prima di procedere con una richiesta di risarcimento danni da responsabilità medica, sia necessario tentare un approccio conciliativo nella sede tecnica delle operazioni peritali.
Si tratta, dunque, di una vera e propria condizione di procedibilità della domanda risarcitoria, che svolge una duplice funzione: da una parte, consente spesso di risolvere la controversia in maniera meno conflittuale; dall’altra parte, in linea generale, persegue una finalità deflativa del contenzioso (ridurre le dispute giudiziali pendenti).
La CTU disposta in sede di ATP
Nell’ambito dell’Accertamento Tecnico Preventivo, sono stati nominati due consulenti tecnici d’ufficio estremamente seri e competenti: un medico legale e un ginecologo.
Questi esperti hanno analizzato minuziosamente la vicenda clinica, riuscendo a ricostruire tutti i dettagli dell’evento e lavorando con dedizione per favorire una conciliazione.
Il loro approccio meticoloso e il loro impegno nell’evidenziare, con estremo rigore scientifico, tutte le criticità del caso sono stati fondamentali per delineare il percorso verso la risoluzione della controversia.
La conciliazione raggiunta
L’azienda sanitaria convenuta – dimostrando, è doveroso ammetterlo, profonda serietà – non si è sottratta al confronto, riconoscendo la gravità dell’accaduto ed accettando di prendere in considerazione le richieste della parte lesa.
Questo atteggiamento rispecchia, invero, il senso autentico della parola “responsabilità”, intesa appunto come la capacità di rispondere prontamente e adeguatamente alle esigenze dei pazienti, anche e soprattutto quando sono andati incontro ad un evento avverso.
In questo spirito, è stato concordato un risarcimento di due milioni di euro, che rappresenta non solo una compensazione per il danno subito, ma anche un impegno finalizzato a restaurare la fiducia nel sistema sanitario.
L’importo, già integralmente liquidato (per il 62,5%, a carico della compagnia assicuratrice e, per il residuo 37,5%, dall’azienda sanitaria), verrà amministrato dai genitori di Filippo sotto la vigilanza del Giudice Tutelare. I fondi sono destinati anche a coprire le spese mediche e assistenziali future. Ogni risorsa verrà impiegata per migliorare la qualità di vita del bambino e per supportare la famiglia nella complessità del percorso esistenziale che li attende.
Un futuro più sicuro per Filippo
Grazie all’accordo transattivo, i genitori di Filippo possono ora guardare al futuro con rinnovato senso di speranza.
Nonostante le avversità incontrate, il sostegno finanziario e la giustizia ottenuta rappresentano un passo importante verso la realizzazione di una vita il più possibile normale e soddisfacente per Filippo.
La nostra missione come legali non si esaurisce nel conseguimento di un ristoro adeguato, ma prosegue per garantire che tali risorse si traducano in un effettivo miglioramento delle condizioni di vita dei nostri assistiti.
Lo studio continua, infatti, a supportare la famiglia, per fare in modo che ogni risorsa si traduca in cure e supporti concreti, capaci di offrire al piccolo Filippo e alla sua famiglia le migliori opportunità di recupero e benessere a lungo termine.
La dedizione alla causa dei nostri clienti e l’impegno per la giustizia sono il fondamento su cui si basa il nostro lavoro quotidiano.