Ultimo Aggiornamento 21 Maggio 2024
Nesso eziologico e “malasanità”
1. Il nesso causale nella responsabilità medica: la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”
Da sempre sosteniamo che l’accertamento del nesso eziologico tra condotta del sanitario ed evento dannoso deve essere condotto secondo parametri differenziati secondo che si tratti di valutare un illecito civile o penale, attesa la estrema diversità dei presupposti (oltre che delle rationes che stanno a fondamento della rispettiva disciplina) della responsabilità civile e di quella penale.
Infatti, lo scrutinio del nesso causale in materia civile – com’è ormai noto – deve seguire la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”. In linea con tale orientamento, già Cass. SU, 11 gennaio 2008, n. 581 aveva formulato in motivazione il seguente importante principio:
” […] 8.10. Essendo questi i principi che regolano il procedimento logico-giuridico ai fini della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non“, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l’identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso vedansi: la recentissima Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238; Cass. 5.9.2006, n. 19047; Cass. 4.3.2004, n. 4400; Cass. 21.1.2000 n. 632).
Anche la Corte di Giustizia CE è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se “appaia sufficientemente probabile” che l’intesa tra compagnie assicurative possa avere un’influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che “occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, al fine di accogliere quelle maggiormente probabili”).
Detto standard di “certezza probabilistica” in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).
Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni). […] “Cass. SU, 11 gennaio 2008, n. 581
2. Dalla probabilità statistica alla probabilità logica: inammissibilità della regola del 51% per l’accertamento del nesso causale in àmbito di responsabilità civile
Non si deve dimenticare, però, che tale criterio non può ridursi ipso facto all’aberrante regola del 50% plus unum (l’espressione è di Cass. III, 27/07/2011, n. 15991), poiché la ragionevole probabilità che un antecedente eziologico abbia provocato un danno non va intesa in senso statistico, ma in senso logico; questo vuol dire che anche una causa statisticamente improbabile può assurgere a genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero – nel caso concreto – ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause. Sotto questo profilo, è stato merito di Cass. III, 21 luglio 2011, n. 15991, aver ribadito e precisato siffatta regola di giudizio:
“Questa corte regolatrice ha difatti avuto modo di affermare (Cass. 21619/07; Cass. ss. uu. 576/2008 nonchè, nella sostanza, Cass. 4400/04) come la disomogenea morfologia e la disarmonica funzione del torto civile rispetto al reato consenta – e addirittura imponga – l’adozione di un diverso criterio di analisi della causalità materiale, quello, cioè, della probabilità relativa, criterio altrimenti definito del “più probabile che non”, rettamente inteso come analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo – nella sua dimensione di “unicità” non ripetibile), della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità (di talché la conseguente svalutazione della regola statistica e sovente di quella scientifica non appare un metagiuridico cedimento ad ideali aneliti riparatori cui dar respiro tout court in seno al processo, quanto piuttosto una attenta valorizzazione e valutazione della specificità del caso concreto, onde la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica non conduca ipso facto alla aberrante regola del 50% plus unum, bensì alla compiuta valutazione dell’evidenza del probabile (così, esemplificando, se, in tema di danni da trasfusione di sangue infetto, le possibili concause appaiono plurime e quantificabili in misura di dieci, ciascuna con un’incidenza probabilistica pari al 3%, mentre la trasfusione attinge al grado di probabilità pari al 40%, non per questo la domanda risarcitoria sarà per ciò solo rigettata – o geneticamente trasmutata in risarcimento da chance perduta -, dovendo viceversa il giudice, secondo il suo prudente apprezzamento che trova la sua fonte nella disposizione di legge di cui all’art. 116 c.p.c., valutare la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all’esito di tale giudizio comparativo, alla più corretta delle soluzioni possibili, pur nella non confortante consapevolezza della natura di malinconico ossimoro del sintagma “accertamento del nesso causale”, la cui “incertezza” trova una assai felice rappresentazione nel verso virgiliano felix qui potuit rerum cognoscere causa…)“
Cass. III, 21 luglio 2011, n. 15991
3. Il nesso causale non è un fatto, ma un giudizio; per questo, non sono mai consentiti ragionamenti riduttivi o semplificati sul nesso di causa
Parimenti noto e tralatizio è il principio secondo cui, se la colpa si presume, il nesso causale deve essere provato dal paziente che assuma di essere stato danneggiato.
Meno diffusa, tuttavia, è la constatazione – invero abbastanza autoevidente – che il nesso causale non sia un fatto, ma una relazione tra fatti e, in quanto tale, tipicamente un giudizio (umano). I fatti si possono provare; i giudizi no.
Pertanto il problema dell’onere della prova del nesso di causa è più arduo di quanto si possa comunemente ritenere, e meriterebbe ben altra attenzione rispetto a quella che sovente i giudici di merito gli riservano, limitandosi a demandare la risoluzione della questione al C.T.U.
La Suprema Corte ha magistralmente descritto questo tema, confermando come la causalità, in quanto relazione stabilita dall’uomo a posteriori tra due fatti, non sia in sé oggettivamente accertabile (Cassazione sez. III Civile, ordinanza 18/12/2017-20/02/2018, n. 4024, Presidente Travaglino, Relatore Rossetti). La sentenza muova dalla seguente premessa:
“Non v’è dubbio che quel che comunemente è chiamato “nesso di causa” non sia un fatto materiale, ma un giudizio. La causalità in quanto tale è una relazione stabilita dall’uomo a posteriori tra due fatti, e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile.
Ne consegue che l’espressione “prova del nesso causale”, largamente diffusa nel lessico giudiziario e forense, costituisce in realtà una metonimia: il nesso di causa in quanto tale non è provabile, perché costituisce l’oggetto d’un ragionamento deduttivo, non un fatto materiale. D’una motivazione che accertasse o negasse il nesso di causa potrebbe discutersi se sia logica, non se sia provata (così già Sez. 3, Sentenza n. 178 del 24/01/1972; più di recente, nello stesso senso si veda Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013).
Quando dunque si discorre di “prova del nesso di causa” si usa una espressione ellittica per designare la prova dei fatti materiali, sui quali fondare il ragionamento (non rileva qui se logico-deduttivo, analitico-induttivo, inferenziale, probabilistico) ricostruttivo del nesso o della sua inesistenza.
Ma i fatti materiali sui quali si fonda il sillogismo sull’esistenza o l’inesistenza del nesso di causa possono essere oggetto di qualsiasi mezzo di prova, non ponendo la legge alcuna limitazione al riguardo: e dunque potranno provarsi con documenti, testimoni, giuramento, confessione e presunzioni semplici”.
Cassazione sez. III Civile, ordinanza 18/12/2017-20/02/2018, n. 4024
Viene poi ribadito quanto segue:
“Questa Corte, ormai da dieci anni, viene costantemente ripetendo in tema di nesso causale i seguenti principi:
(a) il nesso di causa tra una condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile;
(b) la ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato quel danno va intesa non in senso statistico, ma logico: cioè non in base a regole astratte, ma in base alle circostanze del caso concreto;
(c) ciò vuol dire che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause.
Così, ad esempio, se il crollo d’un immobile potesse astrattamente essere ascritto solo a sette possibili cause, tra loro alternative, una delle quali probabile al 40%, e le altre sei al 10%, la prima dovrebbe ritenersi “causa” del crollo, a nulla rilevando che le sue probabilità statistiche di avveramento fossero inferiori al 50%, e quindi “improbabili” per la sola statistica.
Questi principi sono stati, come accennato, ripetutamente affermati da questa Corte: innanzitutto dalle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; Sez. U, Sentenza n. 581 del 11/01/2008; Sez. U, Sentenza n. 582 del 11/01/2008; Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008); ed in seguito ribaditi e precisati da altre numerose decisioni (si vedano Sez. 3, Sentenza n. 11789 del 09/06/2016, per l’affermazione del principio secondo cui il nesso può dirsi sussistente in mancanza di altre “meno improbabili cause”; Sez. 3, Sentenza n. 3390 del 20/02/2015, per l’affermazione del principio della “probabilità relativa”, ovvero da apprezzare con riferimento alla specificità del caso; e soprattutto Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011, per l’affermazione del principio secondo cui in tema di nesso di causa rileva la c.d. “probabilità relativa”, non la probabilità statistica).
Il corollario di quanto precede è che in presenza di più possibili e diverse concause di un medesimo fatto, nessuna delle quali appaia né del tutto inverosimile, né risulti con evidenza avere avuto efficacia esclusiva rispetto all’evento, è compito del giudice valutare quale di esse appaia “più probabile che non” rispetto alle altre nella determinazione dell’evento, e non già negare l’esistenza della prova del nesso causale, per il solo fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a varie alternative ipotesi (così già Sez. 3, Sentenza n. 23933 del 22/10/2013)”.
Cassazione sez. III Civile, ordinanza 18/12/2017-20/02/2018, n. 4024