Ultimo Aggiornamento 3 Ottobre 2024
Quali regole governano il risarcimento danni per il decesso di un figlio in epoca prenatale? Quali tabelle si applicano alla morte del nascituro da “malasanità”?
La morte prenatale di un figlio rientra nel novero delle drammatiche evenienze che si possono derminare in conseguenza di un errore medico, iscrivendosi nel più ampio contesto di quelli che vengono considerati “danni da parto per malasanità“. In due recenti pronunce (ordinanza n. 22859 del 20/10/2020 e ordinanza n. 19190 del 15/09/2020), la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad evidenziare le peculiarità e le regole che governano il risarcimento del danno da morte del feto imputabile a responsabilità medica. Ripercorriamo dunque, in breve, i principali approdi della giurisprudenza di legittimità riguardo alla disciplina risarcitoria applicabile in subiecta materia.
INDICE SOMMARIO
- § 1. Morte del neonato e morte del feto
- § 2. Morte del neonato e perdita del rapporto parentale: risarcimento del danno con applicazione delle Tabelle di Milano
- § 3. Morte del feto e perdita della “aspettativa” del rapporto parentale: quale risarcimento danni?
- § 4. L’ordinanza n. 22859 del 20.10.2020 della Corte di Cassazione
- § 5. L’ordinanza n. 19190 del 15.9.2020 della Corte di Cassazione
§ 1. Morte del neonato e morte del feto
In termini giuridici si può parlare di “nascita” al verificarsi di due condizioni concomitanti:
- il distacco naturale o indotto dal corpo materno e
- la manifestazione di vita autonoma del frutto del concepimento attraverso il respiro.
La nascita, quindi, si fa coincidere temporalmente con il primo atto respiratorio e ad essa si correla l’acquisizione della qualifica di neonato da parte del soggetto nato vivo; di conseguenza, qualora si verificasse il suo decesso anche dopo pochi istanti dalla nascita, tale evento andrebbe comunque inquadrato quale “morte del neonato“.
Il concepito che, invece, sia uscito o sia stato estratto dal grembo materno e non abbia respirato (in caso di dubbio è dirimente l’analisi del polmone per rinvenirvi tracce di ossigeno), si considera nato morto e viene ancora qualificato come feto: tale evento quindi sarà inquadrato giuridicamente quale “morte del feto“, assimilando tale situazione a quella del decesso intrauterino.
La morte del feto e la morte del neonato determinano delle conseguenze giuridiche diverse, sia in ambito penale (vi è infatti distinzione tra il reato di procurato aborto e di infanticidio), sia in ambito civile (poiché la capacità giuridica di un soggetto si acquisisce solo con la nascita). Per quanto attiene al profilo risarcitorio, la morte del neonato e la morte del feto sono trattate in modo diverso.
§ 2. Morte del neonato e perdita del rapporto parentale: risarcimento del danno con applicazione delle tabelle di Milano
In relazione alla morte del neonato è ormai pacificamente riconosciuto in giurisprudenza il diritto al risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale, inteso quale relazione affettiva concreta instaurata con la persona deceduta dai prossimi congiunti; in caso di morte di un neonato sono legittimati a chiedere il ristoro del pregiudizio subito i genitori, i nonni ed eventuali fratelli e sorelle (v. anche il nostro articolo dedicato al danno non patrimoniale da uccisione del congiunto e i sistemi tabellari utili a quantificarlo).
La stima del pregiudizio non patrimoniale da perdita del rapporto parentale nel nostro ordinamento è demandata ad un sistema equitativo puro, sostanzialmente fondato sulla valutazione discrezionale del giudice di merito.
Tuttavia, per rendere il più possibile omogenee e prevedibili le decisioni dei Tribunali, si è sempre cercato di utilizzare criteri standardizzati di quantificazione, tanto che la Corte di Cassazione, sin dal 2011 (sentenza n. 12408/2011), ha individuato nella “tabella” elaborata dal Tribunale di Milano un generale “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono“, così attribuendo alla stessa la valenza di criterio guida a livello nazionale per la quantificazione del pregiudizio da perdita del rapporto parentale.
La tabella milanese, in relazione a ciascun rapporto di parentela, prevede una forbice di valori risarcitori, stabilendo un importo minimo e di un importo massimo, per consentire di graduare la quantificazione del risarcimento avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta“.
In caso di morte del neonato, pertanto, la liquidazione del danno viene di regola operata in applicazione delle tabelle milanesi.
§ 3. Morte del feto e perdita della “aspettativa” del rapporto parentale: quale risarcimento danni?
In relazione alla morte del feto, la giurisprudenza di legittimità da qualche anno si è aperta al riconoscimento della risarcibilità del danno morale ed esistenziale dei congiunti conseguente alla perdita del nascituro.
La Corte di Cassazione (Cass. III, 19/06/2015, n. 12717), tuttavia, ha avuto cura di puntualizzare che “per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento” delle tabelle di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale.
Si registra quindi in giurisprudenza una distinzione tra la morte del neonato, alla quale si riconduce la perdita di un rapporto parentale “effettivo”, e la morte del feto (occorsa anche al momento del parto o in epoca gestazionale avanzata), alla quale si riconduce solo la perdita di una “aspettativa” di rapporto parentale.
Tale approdo invero lascia adito ad alcune notazioni critiche, posto che, allorquando la morte del feto si verifica in prossimità della nascita o all’atto del parto, riferirsi ad una mera “aspettativa” di rapporto parentale pare riduttivo e svilente la realtà del legame affettivo già instauratosi tra la madre ed il nascituro.
La distinzione sopra ripercorsa ha quale corollario che, non essendovi una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano per la perdita della relazione affettiva potenziale con il feto, le tabelle di Milano non sono ritenute direttamente applicabili tout court per il risarcimento del danno da perdita del concepito.
La valorizzazione del danno in caso di morte del feto, secondo gli approdi della Suprema Corte, deve infatti necessariamente tenere conto della ritenuta “diversità ontologica” della perdita subita; pertanto, anche qualora il Giudice di merito volesse fare riferimento alle Tabelle di Milano quale criterio orientativo nella liquidazione equitativa del danno (per la perdita del rapporto affettivo potenziale con il feto) non potrà prescindere da tale valutazione, di cui dovrà dare adeguatamente conto in motivazione.
In termini di conseguenze pratiche, nelle sentenze di merito si registrano importanti oscillazioni nelle liquidazioni del danno da perdita del rapporto parentale “potenziale” con il feto deceduto. Ne sono esempio le statuizioni di merito poste al vaglio della Suprema Corte ed oggetto delle ordinanze di seguito illustrate.
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§ 4. L’ordinanza n. 22859 del 20/10/2020 della Corte di Cassazione
§ 4.1. La vicenda: incauta dimissione della gestante in presenza di sofferenza fetale
La vicenda giudiziaria posta al vaglio della Suprema Corte e decisa con la recente ordinanza del 20 ottobre 2020 riguarda un caso di morte intrauterina di un feto.
La futura madre, che era in stato di gravidanza a rischio ed era giunta al nono mese di gestazione, si era sottoposta presso la struttura ospedaliera, poi convenuta in giudizio, a visite ginecologiche ed esami ma, nonostante le anomalie risultanti dal tracciato che evidenziavano una grave sofferenza fetale, era stata dimessa senza alcuna prescrizione. Il successivo verificarsi di una emorragia portava al ricovero della paziente, ma allorquando era ormai troppo tardi per salvare il nascituro.
All’esito del secondo grado del giudizio di merito, veniva accertata la responsabilità della struttura ospedaliera e veniva accolta la domanda risarcitoria spiegata dai genitori del piccolo, dai nonni e dal fratello.
Il danno veniva liquidato in misura pari al 50% dell’importo minimo previsto dalle Tabelle di Milano per il danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale.
I soggetti danneggiati hanno spiegato ricorso in Cassazione adducendo la violazione delle norme di legge sul risarcimento e la valutazione equitativa del danno (ritenendovi comprese le tabelle di Milano), l’omesso esame di fatti storici rilevanti ai fini della liquidazione del danno (la gravidanza era giunta al termine ed era stata ottenuta mediante fecondazione assistita) e la mancata motivazione della liquidazione risarcitoria operata
§ 4.2. La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure spiegate. La Corte ha sottolineato che le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità del’organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.
Invero:
“qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto […] dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate“.
Cass. III, 20/10/2020, n. 22859
Pertanto, la Suprema Corte ha evidenziato che:
- nel caso di feto nato morto sarebbe ipotizzabile solo il venir meno di una “relazione affettiva potenziale rispetto alla quale non vi è una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano“, mentre la possibilità di parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento si ha nel caso di relazione affettiva concreta;
- nella fattispecie è ravvisabile “la circostanza di essere al di fuori del parametro tabellare, ricorrendo l’ipotesi di mancata instaurazione di un rapporto oggettivo, fisico e psichico, tra i parenti e la situazione del ‘feto nato morto’“;
- la Corte territoriale ha preso quale parametro di riferimento le tabelle del Tribunale di Milano, ma determinando l’importo risarcitorio riconosciuto spettante nella misura pari alla metà del minimo in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino.
La Corte di Cassazione è quindi pervenuta a ritenere esente da censure la sentenza di merito impugnata.
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§ 5. L’ordinanza n. 19190 del 15/09/2020 della Corte di Cassazione
§ 5.1. La vicenda: omessa effettuazione di parto cesareo d’urgenza e morte del feto
Una gestante prossima al parto ricoverata per perdita di liquido amniotico perdeva il bambino e la Corte di merito riconosceva la responsabilità piena ed esclusiva della ginecologa per non essere stata in grado di dedurre dal tracciato fetale lo stato di sofferenza del nascituro e la necessità di un parto cesareo d’urgenza.
La Corte condannava, quindi, in via solidale il medico e la Azienda Sanitaria al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei genitori per la perdita del feto, liquidato in misura pari al 50% del valore massimo previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale, oltre all’appurato danno biologico in capo ai medesimi.
L’Azienda Sanitaria proponeva ricorso in Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, la ritenuta omessa motivazione sulla quantificazione del danno da perdita della genitorialità nonché la sproporzione della liquidazione operata rispetto ai parametri di equità.
§ 5.2. La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure sopra evidenziate rilevando che la sentenza impugnata avesse fornito una adeguata motivazione della operata liquidazione del danno “illustrando, dapprima, la differenza intercorrente tra il danno consistente nella perdita del frutto del concepimento e il danno conseguente alla perdita del figlio, quindi, fornendo ampia giustificazione del parametro liquidativo utilizzato“.
La Suprema Corte ha avallato l’operato della Corte di merito rilevando che:
“La Corte territoriale ha ritenuto che trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita, le tabelle milanesi non fossero direttamente utilizzabili, perchè elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valessero come criterio orientativo […] Dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta, il giudice a quo ha ritenuto di parametrare la liquidazione nel caso concreto sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perche il figlio era nato morto”.
In ordine alla valutazione equitativa, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che:
“è lo scorretto esercizio del potere discrezionale, secondo i parametri forniti dalla interpretazione giurisprudenziale di legittimità degli artt. 1226 e 2056 cod. Civ., che può essere censurato per vizio di violazione di norma di diritto ai sensi del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non anche la diversa modulazione dei valori delle Tabelle di Milano che può essere giusitificata dalla rilevazione nel caso concreto di circostanze specifiche che rendono necessario un diverso adeguamento del quantum risarcitorio (di recente, in tal senso cfr. Cass. 13/05/2020 n. 8884). Al giudice a quo non può dunque essere mosso alcun rilievo per avere assunto come parametro orientativo i valori tabellari ed averli adeguati al caso concreto, al fine di tener conto delle circostanze specializzanti“.
Cass. III, 15/09/2020, n. 19190
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