Ultimo Aggiornamento 24 Ottobre 2024
Il termine “malpractice medica” compare sempre più spesso nelle discussioni sulla sanità italiana, ma il suo significato resta spesso poco chiaro. Questo articolo mira a definire e spiegare questo concetto importante.
“Malpractice” deriva dall’inglese e significa letteralmente “negligenza” o “cattiva pratica”. Nel settore sanitario, si usa spesso “medical malpractice” per indicare la negligenza in ambito medico. In Italia, si sono diffusi i termini “malpractice medica” e “malpractice sanitaria”, usati quasi come sinonimi per riferirsi alla “malasanità” o, più tecnicamente, alla responsabilità medica e sanitaria.
Esaminiamo il significato di malpractice medica, le sue implicazioni legali e pratiche per pazienti e operatori sanitari. Analizzeremo anche le azioni possibili per i cittadini in caso di sospetta malpractice e le recenti modifiche normative in materia.
Per approfondire questo concetto complesso, ci avvarremo di un’intervista all’Avv. Gabriele Chiarini, rilasciata alla rivista “Tutto Salute”. Le sue osservazioni ci aiuteranno a chiarire vari aspetti della malpractice medica nel contesto italiano.
INDICE SOMMARIO
§ 1. Cosa significa malpractice medica?
La malpractice medica si verifica quando un professionista sanitario o una struttura sanitaria non rispetta gli standard di cura previsti, causando danni al paziente. Questo concetto comprende casi di negligenza, imperizia o imprudenza nell’erogazione di servizi sanitari.
Possiamo parlare di “malpractice medica” quando si riscontrano tre elementi fondamentali:
- Una violazione degli standard di cura: il professionista o la struttura sanitaria agiscono in modo non conforme alle pratiche mediche accettate.
- Un danno al paziente: si verifica una lesione, un peggioramento delle condizioni di salute o altre conseguenze negative per il paziente.
- Un nesso causale: esiste una connessione diretta tra la violazione degli standard di cura e il danno subito dal paziente.
È importante sottolineare che non ogni errore medico o risultato indesiderato costituisce necessariamente un caso di malpractice. La medicina non è una scienza esatta e non può basarsi su risultati assoluti, poiché ogni individuo ha le proprie peculiarità e reazioni alle patologie e alle cure. Esiste infatti una differenza fondamentale tra malpractice e complicanze mediche: mentre le complicanze sono rischi intrinseci a determinate procedure o trattamenti, la malpractice implica una deviazione dagli standard di cura accettati.
Tuttavia, quando si verificano abusi, omissioni, leggerezze, carenze strutturali e mancanza di deontologia e professionalità che causano danni evitabili, si può configurare un caso di malpractice medica.
§ 1.1 Principali tipologie di malpractice
La malpractice medica può manifestarsi in diverse forme. Ecco le principali tipologie:
- Errori diagnostici: si verificano quando un medico non riesce a diagnosticare correttamente una condizione o la diagnostica in ritardo. Questo può includere la mancata identificazione di una malattia, l’interpretazione errata di test o la sottovalutazione di sintomi significativi.
- Errori terapeutici: riguardano la scelta o l’esecuzione inadeguata di un trattamento. Possono includere la prescrizione di farmaci sbagliati, dosaggi errati o terapie inappropriate per la condizione del paziente.
- Errori chirurgici: comprendono interventi eseguiti sul paziente o sull’organo sbagliato, procedure non necessarie, o errori durante l’operazione che causano danni evitabili.
- Mancato o inadeguato consenso informato: si verifica quando il paziente non viene adeguatamente informato sui rischi, benefici e alternative di una procedura medica, privandolo della possibilità di prendere una decisione consapevole.
- Carenze organizzative e strutturali: riguardano problemi a livello di struttura sanitaria, come insufficienza di personale, mancanza di attrezzature adeguate, o procedure organizzative inadeguate che compromettono la sicurezza del paziente.
- Errori di assistenza post-operatoria: includono la mancata o inadeguata gestione del paziente dopo un intervento, come il monitoraggio insufficiente, la mancata prevenzione di infezioni o la gestione impropria di complicazioni.
- Errori di comunicazione: si verificano quando informazioni critiche non vengono trasmesse correttamente tra i membri del team medico o tra medici e pazienti, portando a decisioni errate o ritardi nel trattamento.
Ogni tipologia di errore può avere conseguenze gravi per il paziente, e richiede un’attenta valutazione per determinare se si configuri effettivamente una responsabilità medica.
§ 2. Il quadro legislativo della malpractice in Italia
§ 2.1 L’evoluzione normativa: dalla Legge Balduzzi alla Legge Gelli
Il quadro legislativo italiano sulla malpractice medica ha subito importanti cambiamenti negli ultimi anni. Due leggi in particolare hanno segnato questa evoluzione: la “Legge Balduzzi” del 2012 e la Legge Gelli-Bianco del 2017.
La “Legge Balduzzi” (Legge n. 189/2012) ha rappresentato un primo tentativo di riforma in questo ambito. Questa legge (che in verità è un decreto legge!) ha focalizzato l’attenzione sul concetto di “colpa lieve” per i medici che si attengono alle linee guida, mirando a ridurre il contenzioso medico-legale e la medicina difensiva. Inoltre, ha previsto l’obbligo di assicurazione per i professionisti sanitari, gettando le basi per una maggiore tutela sia dei medici che dei pazienti.
Cinque anni dopo, la legge Gelli (Legge n. 24/2017) ha segnato un punto di svolta significativo nell’ambito della responsabilità medica. Questa legge ha introdotto nuove disposizioni sulla sicurezza delle cure e della persona assistita, modificando in modo sostanziale il regime di responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie. L’obiettivo principale era quello di bilanciare la tutela dei pazienti con la necessità di proteggere i professionisti sanitari da contenziosi eccessivi.
La Legge Gelli ha apportato cambiamenti fondamentali, ridefinendo la natura della responsabilità medica e introducendo nuovi meccanismi di gestione del rischio clinico.
§ 2.2 Impatto della Legge Gelli sulla responsabilità medica
La Legge Gelli, approvata nel 2017, ha introdotto cambiamenti nell’ambito della responsabilità medica in Italia. Tuttavia, come osserva l’Avv. Chiarini, il suo impatto sulla tutela dei pazienti è stato meno rilevante di quanto ci si potesse aspettare.
Secondo l’Avv. Chiarini, “La legge Gelli, pur essendo espressamente dedicata alla sicurezza delle cure e della persona assistita, non ha prodotto modificazioni di particolare rilievo per la situazione dei pazienti e per la tutela della loro salute”. Le principali innovazioni, infatti, riguardano prevalentemente la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie.
Nonostante ciò, alcune disposizioni della legge hanno avuto un impatto concreto sulla posizione dei pazienti e dei loro familiari:
- Partecipazione alle operazioni di riscontro diagnostico: I congiunti di un paziente deceduto possono far partecipare un proprio consulente alle operazioni di riscontro diagnostico, sia in caso di decesso in ospedale che altrove. Questo è particolarmente importante nell’esame autoptico, fase cruciale per ricostruire vicende sanitarie con esito infausto.
- Trasparenza dei dati: le strutture sanitarie sono tenute a pubblicare sul proprio sito web i dati relativi ai risarcimenti erogati per responsabilità medica negli ultimi cinque anni, anche se molte non adempiono ancora a questo obbligo.
- Accesso alla documentazione sanitaria: il paziente (o un familiare in caso di decesso) ha diritto di ottenere tutta la documentazione sanitaria, inclusa la cartella clinica, entro sette giorni dalla richiesta, possibilmente in formato elettronico.
Questi cambiamenti, pur non rivoluzionando completamente la tutela del paziente, hanno introdotto strumenti importanti per la trasparenza e l’accesso alle informazioni nel contesto sanitario.
§ 2.3 Il ruolo del Garante per il Diritto alla Salute
Il Garante per il diritto alla Salute è una figura, introdotta dalla legge Gelli, che dovrebbe rappresentare il punto di riferimento per ogni cittadino che voglia segnalare – direttamente o tramite un proprio delegato – disfunzioni o inefficienze del sistema dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria.
Purtroppo, almeno per il momento, questa istituzione non ha prodotto risultati di rilievo, per un buon numero di ragioni.
Innanzi tutto, la norma ha lasciato alle Regioni e alle Province la mera facoltà di introdurre e disciplinare il Garante della Salute, ma la maggior parte delle Regioni non lo ha ancora fatto. In particolare, le Regioni “virtuose” che risultano aver dato attuazione alla previsione sono soltanto la Lombardia (con legge regionale 28/12/2017, n. 37) e la Campania (con legge regionale 11/04/2018, n. 16). In altre Regioni (Emilia Romagna e Piemonte) sono stati presentati dei progetti di legge in tal senso. La maggior parte delle Regioni, e le Province autonome, non sembrano ancora aver dedicato al tema alcuna attenzione.
Inoltre, il ruolo di Garante della Salute viene affidato ad una istituzione già esistente e riconosciuta come poco efficace: quella del Difensore civico regionale. Nato sulla scia dell’Ombudsman di derivazione scandinava, il Difensore Civico dovrebbe svolgere – a vario titolo, in base alla disciplina regionale – una funzione di mediazione nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, senza però alcun potere coercitivo, bensì nel mero esercizio di una azione di “moral suasion“, vale a dire limitandosi ad indicare alla P.A. la condotta amministrativa ritenuta opportuna.
Infine, e soprattutto, l’istituzione del Garante della Salute avviene – come di consueto in un Paese afflitto dal deficit – senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, quindi senza alcuna dotazione economica che possa consentirgli di migliorare effettivamente le condizioni di tutela dei diritti del malato.
§ 3. Responsabilità nella medical malpractice
§ 3.1 Responsabilità del medico: contrattuale vs extracontrattuale
La responsabilità del singolo sanitario è il profilo maggiormente innovato dalle nuove disposizioni.
In particolare, è stato modificato il regime della responsabilità del medico per malpractice: in passato, si riteneva che – in forza del “contatto sociale” che si instaura con il paziente al momento della sua presa in carico – il Sanitario avessa una responsabilità di natura contrattuale nei suoi confronti. Di conseguenza, la colpa del medico era “presunta” e non doveva essere specificamente provata dal paziente; il termine per far valere la sua responsabilità, poi, era di dieci anni.
La legge Gelli ha, invece, stabilito, che l’Operatore Sanitario debba rispondere in conformità alle norme delle responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che la sua colpa deve essere tassativamente dimostrata dal paziente, e che il termine di prescrizione delle azioni risarcitorie per “malasanità” nei suoi confronti è divenuto quinquennale.
Quanto alla responsabilità penale del medico, la legge Gelli ha introdotto nel codice penale l’art. 590 sexies c.p., che prevede una causa di non punibilità per l’Operatore Sanitario che abbia determinato il decesso di un paziente o lesioni personali allo stesso per imperizia lieve nell’esecuzione dei trattamenti, sempre che abbia agito nel rispetto delle raccomandazioni contemplate dalle vigenti linee guida o dalle buone pratiche assistenziali. Resta ferma, beninteso, la responsabilità della Struttura Sanitaria anche in tali ipotesi.
§ 3.2 Responsabilità della struttura sanitaria
Nell’intervista rilasciata a Tutto Salute, l’avvocato Chiarini sottolinea un punto fondamentale riguardo alla responsabilità delle strutture sanitarie:
“Nulla è mutato, tuttavia, riguardo alla responsabilità della Struttura Sanitaria, che è e resta di natura contrattuale.“
Questo significa che:
- La responsabilità della struttura sanitaria rimane di tipo contrattuale.
- L’onere della prova in questi casi resta a carico della struttura.
- Il termine di prescrizione per le azioni contro le strutture sanitarie rimane di dieci anni.
§ 3.3 Onere della prova nei casi di malpractice
La distinzione tra responsabilità extracontrattuale del medico e contrattuale della struttura ha importanti implicazioni sull’onere della prova:
- Per il medico: il paziente deve dimostrare la colpa del professionista, il danno subito e il nesso causale tra i due.
- Per la struttura sanitaria: l’onere della prova è invertito, e spetta alla struttura dimostrare di aver agito correttamente.
Queste modifiche “incoraggiano ed agevolano – oggi più che in passato – l’azione risarcitoria per malpractice medica rivolta nei confronti della Struttura piuttosto che del singolo Operatore Sanitario, spesso incolpevole di fronte ad inefficienze e disfunzioni organizzative.”
Questa nuova configurazione della responsabilità mira a bilanciare la tutela dei pazienti con la protezione dei professionisti sanitari da contenziosi eccessivi, riconoscendo al contempo il ruolo centrale delle strutture sanitarie nel garantire la qualità e la sicurezza delle cure.
§ 4. Malpractice sanitaria e obbligo di assicurazione
Esiste un obbligo per le Strutture Sanitarie di stipulare una assicurazione per poter fare fronte ad eventuali richieste di risarcimento da malpractice, ma si tratta di un obbligo disatteso, come è possibile?
E’ proprio così: la legge Gelli contiene una norma intitolata “Obbligo di assicurazione“, che sembrerebbe appunto imporre alle Strutture Sanitarie di dotarsi di una idonea copertura assicurativa per la responsabilità civile nei confronti dei terzi e dei prestatori di lavoro.
Sennonché, la stessa disposizione prevede che le Strutture possano optare, in alternativa, per “altre analoghe misure” (cd. “autoassicurazione”), così – di fatto – demolendo il significato e l’utilità dell’obbligo assicurativo appena previsto.
Si tratta di un aspetto problematico e piuttosto grave, perché la polizza assicurativa è l’unico strumento che consente di garantire ai soggetti danneggiati, aventi diritto ad un risarcimento da parte dell’Azienda Sanitaria, che il loro credito verrà soddisfatto. Le altre misure adottate (in primis: la creazione di fondi destinati) non sono in grado di dissolvere il rischio di insolvenza, che purtroppo talvolta si manifesta quando una Struttura – pubblica o privata – non provvede spontaneamente al risarcimento pur essendo stata condannata con sentenza, magari anche passata in giudicato.
E’ chiaro come la legge Gelli manifesti, sotto questo profilo, uno dei suoi limiti più rilevanti.
§ 5. Prevenzione della malpractice sanitaria
In materia di “malasanità” occorre evidenziare più le responsabilità delle Strutture e della loro organizzazione che dei singoli Operatori Sanitari. Cosa vuol dire questo?
Il fatto è che gli errori accadono in tutti gli ambiti delle attività umane: siamo fallibili, se qualcuno ancora non se ne fosse reso conto!
Il più delle volte, però, è possibile intervenire sui principali fattori di rischio e prevenire una buona fetta degli errori sanitari semplicemente intervenendo sulle loro cause cosiddette “latenti”, cioè annidate nel sistema e rappresentate da tutti gli aspetti che attengono all’organizzazione della Sanità: ambienti, strutture, macchinari, standard e procedure, densità del personale, distribuzione dei turni di lavoro, ecc.
Sono spesso questi elementi, per lo più derivanti da scelte di gestione e/o di amministrazione, che costituiscono il terreno fertile per un errore del singolo Operatore Sanitario, il quale viene invece additato come unico responsabile dell’evento avverso.
Se si iniziasse a riconoscere questo dato di comune esperienza, invece di limitarsi ad incolpare di malpractice questo o quel medico, le Strutture Sanitarie potrebbero davvero concentrarsi sulle necessarie azioni di riorganizzazione e di ammodernamento dei propri sistemi, in modo da perseguire concretamente l’efficienza e la sicurezza delle cure che la stessa legge Gelli desidera promuovere.
§ 6. Come agire in caso di sospetta malpractice
Se un Cittadino ritiene di essere stato vittima di un episodio di Malpractice Medica, cosa dovrebbe fare per tutelarsi? Come può capire se vi sono le condizioni per una azione legale?
La gestione di un caso di malpractice sanitaria è pittosto complessa, e difficilmente può essere svolta in maniera corretta senza rivolgersi a uno Studio Legale esperto in materia.
La prima cosa che il cittadino può fare, allora, è raccontare la propria vicenda clinica ad un Avvocato specializzato in “malasanità”, e consegnargli copia di tutta la documentazione rilevante (cartelle cliniche, certificati, referti, prescrizioni, esami strumentali, ecc.).
L’Avvocato, affiancato dal proprio medico legale di fiducia e dallo specialista nella disciplina interessata, lo aiuterà a capire se si tratta di un vero e proprio caso di responsabilità medica, per configurare la quale non è sufficiente che si sia verificato un errore sanitario, ma devono sussistere anche gli altri due presupposti: un danno per il paziente (cioè una lesione della sua salute o di un altro suo diritto) ed il nesso causale tra l’errore e il danno.
Se manca anche uno soltanto di questi tre elementi, nessuna azione risarcitoria risulterà sostenibile.
Compiuti questi accertamenti preliminari, si dovrà poi valutare quale strada percorrere: meglio – il più delle volte – procedere in sede civile per il risarcimento dei danni, piuttosto che in sede penale con una denuncia per “malasanità”.
A questo punto, stimata l’entità del danno ed individuata l’entità giuridica che deve risponderne, l’Avvocato procederà alla trattazione del sinistro con l’Azienda responsabile e/o con la relativa Assicurazione (quando è presente), per ottenere il riconoscimento dell’errore medico ed il conseguente risarcimento danni da malasanità, che spesso avviene anche spontaneamente in via stragiudiziale senza necessità di andare in giudizio.
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“Può sembrare strano affermare il principio che il primissimo requisito di un Ospedale è che non deve danneggiare il paziente”
Florence Nightingale, Notes on Hospitals, 1863