Opportunità Terapeutica

L’opportunità terapeutica

Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024

Opportunità terapeutica: un approccio integrato alla responsabilità sanitaria e all’autodeterminazione del paziente

Oggi la nostra esplorazione in materia di salute, diritto e responsabilità, ci consente di fare un focus sulla cd. opportunità terapeutica. Abbiamo un ospite, il dottor Flaviano Antenucci, che è un hospital risk manager molto esperto: ha lavorato per il principale gruppo assicurativo italiano e si è distinto come formatore e divulgatore in materia di MedMal, rischio clinico e rischio risarcitorio.

In questo contesto, abbiamo affrontato un tema attuale e strettamente connesso alla resistenza antimicrobica, un fenomeno diffuso negli ambienti ospedalieri che rappresenta una grave minaccia per la salute dei pazienti. Abbiamo discusso delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA), analizzando le implicazioni ed il ruolo di questo ormai inflazionato acronimo nel contesto dell’opportunità terapeutica e della sicurezza delle cure. [*]

[*] Il contenuto di questo articolo è tratto dall’episodio ‘Opportunità’ del trattamento sanitario della nostra rubrica ‘MedMal TALKS’, in cui abbiamo avuto il piacere di discutere con il dott. Flaviano Antenucci. La rubrica è dedicata all’analisi di temi attuali e questioni complesse legate alla responsabilità sanitaria ed alla malpractice medica, offrendo spunti di riflessione grazie all’esperienza dei protagonisti di questo delicato ambito professionale. Clicca qui per vedere il video!


INDICE SOMMARIO


§ 1. I.C.A., rischio infettivo e opportunità terapeutica

DOTT. ANTENUCCI – I.C.A. è un acronimo che, dal mio punto di vista, assomiglia moltissimo ad alcune locuzioni inglesi che servono a nascondere dietro un paio di dita una realtà che non si vuole vedere. Infezione nosocomiale‘ significa ‘infezione contratta in ospedale’; ‘infezione correlata all’assistenza’ dà invece l’idea che sia inevitabile. Cioè, se vuoi l’assistenza, purtroppo ci sono queste infezioni correlate.
Ora, io non voglio fare il retrivo ed insistere a chiamarle come non va di moda, però insisto a dire: chiamiamola come vogliamo, ma ricordiamoci che è strettamente connessa al fatto che si prende in ospedale, si prende nell’ambiente di cura.

L’A.N.M.D.O. ha appena pubblicato un vero e proprio libro contenente una serie di indicazioni precise per la sanificazione degli ambienti di cura, che serve proprio ad abbassare il più possibile questo rischio, a restringerlo, sapendo benissimo che questa è una battaglia che non può essere vinta. Si possono condurre battaglie di sanificazione che producano meno morti e meno feriti possibili, ma sono battaglie che lasciano sempre qualcuno sul campo.

Il punto centrale è questo: se noi la chiamiamo ‘infezione correlata all’assistenza’, diventa un problema se la responsabilità è contrattuale o extracontrattuale, diventa un problema sapere la legittimazione attiva, la legittimazione passiva, che sono tutte argomenti importantissimi. Ma che non vanno a scalfire il nucleo centrale. Il nucleo centrale è che tutte le volte che io porto un paziente in ospedale, lo espongo a questo rischio, e quindi è la scelta di portarlo in ospedale che diventa il ‘click’, l’interruttore che muove, il ‘dante causa’ numero uno della responsabilità occidentale, che è l’opportunità terapeutica.

Ancora una volta, una locuzione che in medicina si preferisce non usare, così come ‘infezione nosocomiale’ piace poco e si preferisce chiamarla ‘ICA’.

Così, quando si tratta di parlare di opportunità terapeutica, i testi parlano invece (i testi non giuridici, sia chiaro, perché quelli giuridici ne parlano, e come!), ma i testi non giuridici invece preferiscono parlare di adeguatezza.

Anche qui, che differenza c’è tra opportunità e adeguatezza? Una cura può essere sicuramente adeguata, perché dire adeguata vuol dire che veste bene. Rispetto a ciò che io vedo; opportuna invece significa che, oltre a vestir bene, decido se il colore sta bene, decido se è il momento giusto, decido se questo taglio la assottiglia. Lei non avrebbe problemi, ma per me, che sono un quintale, fa la differenza! Quindi, il fatto che l’abito sia tagliato bene e sia della mia misura non basta, non basta!

AVV. CHIARINI – Quindi: primo tema centrale è l’evitabilità oppure no delle infezioni. Per quanto il “rischio zero” non esista, sappiamo che una buona parte delle infezioni (qualcuno dice addirittura il 70%, senz’a ‘altro almeno il 50%) potrebbe essere prevenuta con una corretta gestione del rischio infettivo, questo sì ineliminabile ogni qualvolta portiamo un paziente in ospedale.

Allora diventa centrale – ci ricorda il dottor Antenucci – il concetto di opportunità terapeutica, che è qualcosa di diverso e di più rispetto al concetto di adeguatezza o di indicazione al trattamento.

Approfondiamo questi aspetti estendendo il raggio dell’attenzione anche ad altre ipotesi di interventi sanitari, come per esempio quello di protesi d’anca che consiste nella sostituzione completa dell’articolazione in caso di sua degenerazione (che tecnicamente si chiama coxartrosi).

§ 2. Opportunità terapeutica vs indicazione al trattamento

DOTT. ANTENUCCI – Se uno ha la coxartrosi, sicuramente la soluzione di questo sfregamento, di questa degenerazione delle guarnizioni naturali, dei sistemi di scorrimento naturali che si consumano – ahimè – con il tempo e con l’incedere dell’età, la protesi d’anca può essere una soluzione. E’ certamente indicata, ma non è affatto detto che sia opportuna.

Perché possono esserci comorbidità, che è una situazione abbastanza frequente nelle persone più anziane.
Possono esserci problemi di osteoporosi. Lei non sa quante volte mi è capitato di vedere difese che sostengono: ma la signora aveva l’osteoporosi… questo fatto non dipende da noi!

Certo che non dipende da noi, ma se tu entri nell’ordine di idee di tagliare quell’osso e di infilarci delle viti, il fatto che abbia l’osteoporosi sull’opportunità secondo me un po’ c’i ‘entra. Certo non c’entra sull’indicazione al trattamento.

L’indicazione è un fatto statico; l’opportunità è un fatto professionale e dinamico.

Ora, chi decide, alla fine, è il medico. Ce lo ha detto anche la Cassazione nelle innumerevoli sentenze sul consenso informato, che – messe in fila – ci raccontano proprio che è vero che c’è un diritto all’autodeterminazione, ma dei due chi sa le cose è il mio medico, non certo io.
Io so quello che cerco su Google (che è una tragedia, e sarebbe bene che non lo cercassi).
Bene: allora, a questo punto, se il medico decide che è opportuno che io mi rivolga a lui e lui mi consiglia che sono di tipo nosocomiale, in qualche modo mi sta avviando su un binario che era evitabile, non era l’unica scelta possibile.

Né l’indicazione, né l’opportunità sono una scelta irrevocabile o una scelta inevitabile. Sono il frutto di una valutazione che è il punto d’incontro tra la valutazione professionale e le competenze del medico specialista, e la libera capacità di autodeterminarsi del paziente.

AVV. CHIARINI – …ed ecco allora che, dai concetti di adeguatezza e di opportunità del trattamento, passiamo a considerare il principio di autodeterminazione del paziente, cioè della necessità di un consenso informato, perché ogni prestazione sanitaria deve essere calata nel contesto di quel singolo paziente e della sua specifica volontà.

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§ 3. Opportunità terapeutica e consenso informato del paziente

DOTT. ANTENUCCI – Allora, quello che vedo è questo: è più facile essere minimizzanti quando il danno è minimo, ma se uno fa una protesi di ginocchio a 78 anni e perde l’uso della gamba, magari al terzo medio superiore di coscia, quel danno la responsabilità ce l’ha!

Si potrebbe dire che era inevitabile, che era questo o quest’altro, ma ciò non cambia l’ingiustizia fondamentale della perdita di un arto. Anche se malandato, quell’arto permetteva comunque al paziente di condurre una vita da anziano. La situazione cambia quando si cerca un miglioramento attraverso una protesi, poiché una protesi non si fa per salvare l’arto. Se mai succedesse questo, tutti i nostri ragionamenti non contano. È chiaro che, quando parlavo di coxartrosi prima, mi riferivo a un soggetto anziano. Se un venticinquenne ha la coxartrosi, allora quella patologia rappresenta un problema che va risolto in maniera diversa.

E posso anche dirle che, nei circa 140.000 casi che la mia struttura ha gestito più o meno direttamente, non mi è mai capitato di vedere una cosa di questo genere dove non fossimo tutti d’accordo che quell’intervento era da fare. E che, se succede qualcosa, è connesso anche alla patologia iniziale.

Ricordiamoci sempre che essere uscito peggio di come si sia entrato, che è sostanzialmente la leva che fa scattare la questione responsabilistica in tutte le responsabilità professionali, parte per l’appunto dalla patologia iniziale. Ora, se la patologia iniziale è che il mio ginocchio è malandato a 80 anni è un discorso: secondo me non c’è bisogno neanche di un medico! Se la patologia iniziale è che io ho un ginocchio anchilosato e non so perché, oppure lo so perché, ho una rarissima forma di rachitismo, a vent’anni, è chiaro che la battuta d’avvio è totalmente diversa e secondo me qui non è questione né di medicina legale, addirittura forse nemmeno di alto diritto: si tratta di una questione di buon senso.

AVV. CHIARINI – …e il buon senso ci dice che ci sono due tipi di medicina: una medicina che salva la vita ed è tipicamente la medicina che opera in emergenza o in urgenza, e c’è invece una medicina elettiva, una medicina programmata, che spesso serve a soddisfare – o a cercare di soddisfare – un desiderio di miglioramento della salute o del benessere del paziente. Ed i risvolti in termini di responsabilità sanitaria non possono essere identici.

§ 4. Medicina che salva la vita e medicina elettiva

DOTT. ANTENUCCI – Più dell’80% delle prestazioni sanitarie, e quindi della spesa a livello nazionale, riguarda cure che non sono strettamente necessarie per salvare la vita in quel momento. Questo tipo di sanità è diverso da quello che è sempre esistito, ovvero l’intervento medico immediato quando una persona sta talmente male da rischiare la vita.

In questi casi urgenti, la responsabilità civile è più raramente configurabile e deve essersi verificata una questione molto eclatante.

Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi che vediamo, ci occupiamo di questioni che non hanno a che fare con il salvare la vita in quel momento. Si tratta piuttosto di valutazioni professionali di opportunità, come scegliere quale strada prendere a un bivio.

Questo significa mettere le mani sulla vita delle persone e assumersi una responsabilità che, in tutto il mondo occidentale, risponde a una regola precisa. La regola è che chi ha la conoscenza si assume la responsabilità.

Ad esempio, il mio meccanico si assume la responsabilità di restituirmi un’auto che non mi metta in pericolo; il mio medico si assume la responsabilità di una scelta non salvavita.

Se invece fosse una questione salvavita, la responsabilità non sarebbe né mia né sua, in linea di massima, a meno di circostanze eccezionali.

AVV. CHIARINI – Si torna ancora al ruolo dell’autodeterminazione del paziente e questo ci dimostra come i temi più rilevanti in ambito MedMal (informazione, consenso, appropriatezza terapeutica) non sono compartimenti stagni e non possiamo considerarli isolatamente, ma sono parti interconnesse di un mosaico articolato e complesso, da affrontare con un approccio – diciamo così – olistico e con una visione integrata.

Ma, partendo dal consenso, il dottor Antenucci ci spiega come sia necessario indagare la motivazione che spinge il paziente all’intervento, un aspetto molto importante, ad esempio, ma non soltanto, in ambito di chirurgia plastica con finalità meramente estetica.

§ 5. Il ruolo dell’autodeterminazione del paziente e della sua “motivazione”

DOTT. ANTENUCCI – Oggi, il consenso è una procedura che si segue per legge, poiché la legge richiede che sia fatto. Tuttavia, spesso viene gestito in modo molto formale e burocratico, il che può renderlo poco utile. Ad esempio, se un paziente desidera un intervento di chirurgia plastica per assomigliare a Brad Pitt, il medico deve spiegare che tale obiettivo potrebbe essere irraggiungibile. Deve mostrare al paziente, attraverso il rendering, fino a dove si possa realisticamente arrivare. Questo diventa l’oggetto di una responsabilità che non è più solo oggettiva, ma incrocia motivazione e intervento.

La stessa considerazione dovrebbe applicarsi a tutta la medicina non salvavita. Continuo a sottolineare, a chiunque voglia ascoltarmi, che la raccolta della motivazione al momento del consenso è fondamentale. Non perché sia solo una questione di consenso, ma perché è il momento chiave in cui si parla con il paziente.

Ad esempio, nelle procedure di endoprotesi, le motivazioni all’intervento devono essere raccolte. Se un paziente, come me, dichiara che non è disposto a rinunciare a certi aspetti della sua vita, come andare in moto, e che è disposto a assumersi dei rischi, questo cambia notevolmente le circostanze. E non sto usando ‘circostanze’ in senso generale, ma nella sua accezione giuridica. Significa chiarire il contesto dell’adempimento, come insegna la Suprema Corte. Il contesto è una situazione in cui il paziente potrebbe non aver compreso tutti i rischi, ma ha spiegato chiaramente perché desidera l’intervento, e questo fa un’enorme differenza.

AVV. CHIARINI – Allora abbiamo anche capito che il dottor Antenucci è un ottimo e appassionato motociclista e che questo potrebbe rappresentare una motivazione centrale nella prestazione del suo questo senso ad un determinato intervento chirurgico.

Quindi, quella che potrebbe sembrare una motivazione soggettiva giuridicamente irrilevante si inserisce, invece, in un contesto più ampio che non possiamo esimerci dal valutare per capire quali sono i risvolti giuridici di una determinata vicenda clinica in termini di informazione, di consenso e di corrispondenza tra le aspettative e l’effettivo risultato del trattamento.

§ 6. Opportunità terapeutica ed importanza del contesto

DOTT. ANTENUCCI – Nella responsabilità occidentale, sia essa contrattuale o extracontrattuale, la definizione dei contesti in cui si prendono le decisioni e si effettuano le prestazioni è di fondamentale importanza. Credo che concorderà con me su questa affermazione. Questo principio non solo è sostenuto da tutte le pronunce della Cassazione, ma riflette anche l’essenza del nostro mestiere di tutti questi anni!

AVV. CHIARINI – Sono molto d’accordo sull’importanza del contesto nella valutazione giuridica di una vicenda clinica, anche perché ci consente di comprendere qual era la causa in concreto di quello specifico contratto di spedalità (o di assistenza sanitaria), qual era l’effettiva ragione che ha spinto il paziente a sottoporsi all’intervento. E questo non può restare indifferente a quegli operatori che, come noi, sono chiamati a valutare se ci siano, oppure non ci siano, i presupposti di una responsabilità sanitaria in un determinato caso.

Ringrazio vivamente il dottor Antenucci per avere animato questa nostra puntata odierna di “MadMal Talks”.
Ringrazio anche tutti voi per l’attenzione e l’interesse con cui ci seguite e vi do appuntamento al prossimo episodio, con un altro ospite d’eccellenza!

Guarda il video: “Opportunità” del trattamento sanitario? Ne parliamo con il dott. Flaviano Antenucci | MedMal TALKS