Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024
La legittimazione passiva in relazione alle ordinanze amministrative
La posizione del curatore fallimentare rispetto alle ordinanze amministrative relative agli obblighi imposti dalla disciplina sui rifiuti del Testo Unico dell’Ambiente e dalla normativa sull’amianto risulta ancora oggi controversa sotto vari profili ed oggetto di pronunce giurisprudenziali a volte discordanti. Tentiamo di delineare di seguito i più recenti arresti della giurisprudenza amministrativa in tema di legittimazione passiva del curatore in materia.
INDICE SOMMARIO
- § 1. La posizione giuridica del curatore fallimentare
- § 2. Il curatore fallimentare e le ordinanze amministrative in materia di rifiuti
- § 2.1. Il curatore fallimentare ed i rifiuti abbandonati: le ordinanze ex art. 192 d.lg. 152/2006
- § 2.2. Il curatore fallimentare e la bonifica dei siti inquinati: le ordinanze ex art. 240 e 242 d.lg. 152/2006
- § 2.3. Il curatore fallimentare e le misure di prevenzione d’urgenza previste dall’art. 245 d.lg. 152/2006
- § 3. Il curatore fallimentare ed i suoi obblighi in relazione alla normativa sull’amianto
§ 1. La posizione giuridica del curatore fallimentare
Ai sensi dell’art. 31, comma 1, della L.F.:
“Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato o del comitato dei creditori nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite“.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che:
- il curatore fallimentare, pur potendo subentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (ai sensi dell’art. 72 L.F.), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cass. I, 23 giugno 1980 , n. 3926; Cass. S.U., 20 febbraio 2013, n. 4213);
- sul curatore fallimentare “non incombono né gli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale” (Cass. I, 14 settembre 1991, n. 9605).
§ 2. Il curatore fallimentare e le ordinanze amministrative in materia di rifiuti
Salvo il caso di prosecuzione dell’attività di impresa ai sensi dell’art. 104 L.F, il curatore non può essere considerato “Produttore” di rifiuti; si rammenta in punto che l’art. 183 lett g) del d.lg. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente) definisce il “produttore di rifiuti” come:
“il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)“.
Più controversa – come vedremo in seguito – è invece la possibilità o meno di inquadrare il curatore fallimentare quale soggetto “subentrate” o “detentore”, secondo la definizione dell’art. 183, lett h) d.lg. 152/2006 identificabile con “il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso“, con gli obblighi che ne conseguono alla luce della normativa in materia di rifiuti, inclusa la possibilità del curatore di essere destinatario di ordinanze amministrative a riguardo.
§ 2.1. Il curatore fallimentare ed i rifiuti abbandonati: le ordinanze ex art. 192 d.lg. 152/2006
L‘art. 192 d.lg. 152/2006, come noto, vieta l’abbandono ed il deposito di rifiuti, nonché l’immissione degli stessi nelle acque superficiali e sotterranee; in caso di violazione di tali divieti, la norma impone all’autore, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, la rimozione, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti nonché il ripristino dello stato dei luoghi.
Il Sindaco può disporre con ordinanze le operazioni che si rendono necessarie, assegnando ai destinatari un apposito termine a provvedere, con esecuzione in danno dei soggetti obbligati e con recupero delle somme anticipate in caso di inadempimento.
La posizione del curatore fallimentare è stata spesso chiamata in causa in relazione al disposto dell’art. 192, comma 4, d.lg. 152/2006 per il quale:
“Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni“.
La giurisprudenza amministrativa è stata quindi chiamata a pronunciarsi sulla legittimazione passiva del curatore fallimentare rispetto ad ordinanze emesse nei suoi confronti ai sensi dell’art. 192, anche quale preteso soggetto “subentrante” alla persona giuridica fallita.
L’orientamento della giurisprudenza amministrativa prevalente, traendo argomentazione in prima battuta dagli arresti della Cassazione Civile sulle figura del curatore fallimentare, nega la legittimazione passiva del fallimento rispetto a tale ordinanze.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3274/2014, ampiamente ripresa dalla giurisprudenza successiva, si afferma che:
“il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento […] Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura […]; dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 192, comma 4, d.lg. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa“.
Anche recentemente il Consiglio di Stato – dopo una pronuncia apparentemente di segno contrario (Consiglio di Stato, sent. n. 3672/2017) – è tornato ad esprimersi in punto, rimarcando che:
“Se non è individuata una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore [circa l’abbandono dei rifiuti], nessun ordine di ripristino può essere imposto dal Comune alla curatela fallimentare quale mera responsabilità di posizione. Il curatore, infatti, non sostituisce il fallito dato che la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell’impresa fallita“.
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 5668/2017)
Siffatto orientamento giurisprudenziale appare peraltro in linea con il principio comunitario, recepito dalla legislazione nazionale, “chi inquina paga”: addossare al curatore che non abbia continuato l’attività aziendale la responsabilità per l’inquinamento prodotto dall’imprenditore
“vanificherebbe la cogenza dei superiori principi e finirebbe con il produrre un effetto di manleva automatica nei confronti dei “veri” responsabili dell’inquinamento (id est, in tesi: i soggetti muniti di responsabilità gestoria nei confronti dell’impresa inquinante) […] scaricando i costi sui creditori che non hanno alcun collegamento con l’inquinamento“.
(Consiglio di Stato, sent. n. 5668/2017)
Peraltro, secondo TAR Veneto, sent. n. 744/2019,
“da questa impostazione non deriva una diminuzione della tutela ambientale, poiché in mancanza di altri soggetti obbligati ai sensi dell’art. 192, D.Lg. 152/2006, gli obblighi di rimozione ed avvio al recupero sono posti in capo al Comune, che potrà rivalersi delle spese sostenute insinuandosi nel passivo fallimentare“.
§ 2.2. Il curatore fallimentare e la bonifica dei siti inquinati: le ordinanze ex art. 240 e 242 d.lg. 152/2006
La giurisprudenza amministrativa prevalente esclude che la curatela fallimentare possa essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica dei siti inquinati, in forza della mera responsabilità di posizione ed in assenza dell’individuazione di una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso in ordine all’inquinamento (Consiglio di Stato Sez. V, 6 agosto 2019 n. 5580); ciò sia in quanto non sussiste alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti, sia perché la legittimazione passiva della curatela fallimentare in tema di ordinanze sindacali di bonifica determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga”, scaricando i costi sui creditori che non hanno alcun collegamento con l’inquinamento (ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885, Consiglio di Stato, Sez. V, 12 marzo 2020 n. 1759, T.A.R. Sicilia, sez. IV, 23/12/2019, n. 3061, T.A.R. Sardegna sez. II, 27/08/2019, n. 722, T.A.R. Piemonte sez. I, 12/05/2017, n. 590).
Del resto, le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lg. 152/2006 (artt. da 239 a 253) operano una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione e l’Amministrazione non può imporre, a chi non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di bonifica di cui all’art. 240 (e 242) d.lg. 152/2006 (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25)
§ 2.3. Il curatore fallimentare e le misure di prevenzione d’urgenza previste dall’art. 245 d.lg. 152/2006
La più recente giurisprudenza amministrativa, pur condividendo l’opzione interpretativa sopra ripercorsa, per la quale la curatela non è chiamata a succedere in obblighi o responsabilità del fallito, ha tuttavia puntualizzato che la stessa è tenuta all’adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene (TAR Friuli Venezia Giulia sez. I, 24 settembre 2018 n. 305, Consiglio di Stato sez. IV, 19 marzo 2020 n. 1961).
Come recentemente evidenziato da Consiglio di Stato, sez. V, sent. 12 marzo 2020, n. 1759, la posizione del curatore
“non conduce ad escludere sempre e comunque la legittimazione passiva della curatela in materia ambientale. Occorre, infatti, considerare anche gli oneri di manutenzione e di custodia che gravano sul curatore fallimentare in quanto detentore c.d. qualificato degli immobili acquisiti all’attivo concorsuale […]. In ragione della sua posizione di detentore qualificato, il curatore fallimentare può essere gravato dell’adozione delle misure di prevenzione d’urgenza previste dall’art. 245 D.lg. 152/2006 che, non avendo natura sanzionatoria, né ripristinatoria, ma mirando alla prevenzione dei danni, a determinate condizioni emergenziali, possono essere pretese dal curatore così come dal proprietario non responsabile (come ritenuto da diverse decisioni di merito, tra cui, da ultimo TAR Piemonte 7 agosto 2018 n. 941, TAR Toscana, 24 febbraio 2019 n. 166 e Tar Veneto, 16 aprile 2019 n. 744)“.
§ 3. Il curatore fallimentare ed i suoi obblighi in relazione alla normativa sull’amianto
La normativa sull’amianto rinviene la sua fonte primaria nella legge n. 257 del 12 marzo 1992; la specialità della disciplina è stata confermata anche dal Testo Unico dell’Ambiente che, all’art. 195, comma 5, lett. d), attribuisce allo Stato la competenza per la determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto, mediante decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle attività produttive.
La posizione del curatore fallimentare rispetto alle previsioni della normativa sull’amianto è stata di recente analizzata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1759 del 12 marzo 2020.
Alla luce delle disposizioni della normativa speciale, il Consiglio di Stato ha evidenziato:
- la specialità della disciplina che regola la cessazione dell’impiego dell’amianto e la differenza delle regole applicabili rispetto alla disciplina vigente in materia di rifiuti e di inquinamento ambientale;
- che l’amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto;
- che l’amianto diviene pericoloso per la salute pubblica a certe condizioni ed impone un onere di sorveglianza continua a tutela della salute;
- che le finalità di tutela della salute e dell’ambiente sono perseguite a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa nella produzione dello stato di degrado dell’immobile contenente amianto.
Il Consiglio di Stato ritiene inoltre che:
- gli obblighi di controllo e di manutenzione siano gravanti su chi nell’attualità detiene o utilizza il bene;
- gli obblighi di intervento e di bonifica siano gravanti sul proprietario, in quanto titolare del diritto reale sui beni inficiati dal vizio strutturale.
Per quanto concerne gli obblighi di custodia del curatore, si rileva che:
“– se nell’immobile viene svolta attività d’impresa riconducibile alla curatela fallimentare, il curatore, in qualità di “responsabile dell’attività” che si svolge nell’immobile, dovrà porre in essere il programma di controllo e le procedure per le attività di custodia e manutenzione ai sensi del punto 4 dell’allegato al D.M. su citato [D.M. 6 settembre 1994];
– se non vi svolge attività d’impresa, il curatore fallimentare, quale detentore qualificato del bene immobile, è gravato degli oneri di comunicazione e di segnalazione della situazione di pericolo alle autorità competenti, nonché degli obblighi di sorveglianza, secondo quanto imposto dalla normativa speciale;
– relativamente, invece, all’obbligo di effettuare interventi strutturali sull’immobile acquisito all’attivo fallimentare e/o di sopportarne i costi […] la giurisprudenza in materia ambientale esclude che sussista in capo al curatore fallimentare il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili ed alla definitiva bonifica da fattori inquinanti […] Analogamente, va affermato che, di regola, non grava sulla curatela fallimentare, fermi gli specifici obblighi di sorveglianza e di monitoraggio, l’obbligo di eliminare il vizio strutturale connesso al c.d. rischio amianto, con oneri di spesa a carico della procedura“.
La pericolosità dell’amianto per la salute pubblica, tuttavia, è alla base della puntualizzazione operata dal Consiglio di Stato, per il quale in materia di amianto possono essere imposti interventi al curatore fallimentare
“in qualità di custode dell’immobile, onde prevenire l’aggravamento della situazione di degrado dell’immobile o comunque evitare il pericolo imminente di danni per la salute e l’incolumità pubbliche, ferme restando la necessaria disponibilità dei mezzi economici (o della possibilità di procurarseli) in capo alla procedura fallimentare ovvero la possibilità di rinuncia all’acquisizione all’attivo ai sensi dell’art. 42, ult. co., l. fall. o di rinuncia alla liquidazione ai sensi dell’art. 104 ter, comma 8, l. fall. (che, rispettivamente, impedisce o fa venire meno la disponibilità giuridica in capo al fallimento del bene non inventariato o abbandonato)“.
Alla luce delle considerazioni sulla ripartizione degli obblighi già evidenziate, il Consiglio di Stato circoscrive l’ambito e la natura degli interventi che possono essere imposti al curatore fallimentare rimarcando che:
“L’intervento del curatore, in detta qualità, è imponibile nei limiti delle misure indispensabili a prevenire o eliminare situazioni di danno attuale o di grave pericolo di danno, comprese misure emergenziali e non definitive ove sufficienti allo scopo di contrastare, con immediatezza ed efficacia, minacce imminenti per la salute e per l’ambiente“.
§ 3.1. Il curatore fallimentare e le ordinanze sindacali ex art. 50 e 54 d.lg. 267/2000 in materia di amianto
La pronuncia del Consiglio di Stato sopra illustrata pare offrire un approdo di sintesi alle sentenze della giurisprudenza di merito, tese a trovare un punto di equilibrio nell’applicazione normativa in relazione alle esigenze di tutela del bene salute (cfr. ad esempio TAR Friuli Venezia Giulia n. 441/2015, TAR Piemonte n. 562/2018).
Non di rado accade che sulla scorta di una ritenuta situazione di pericolo per la salute legata alla presenza di amianto vengano adottate ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi degli artt. 50 e 54 d.lg. 267/2000 (TUEL), aventi come destinatari la curatela fallimentare.
La legittimazione passiva del curatore fallimentare in relazione a tali ordinanze non è esclusa, sulla scorta di quanto in precedenza evidenziato e nel limite degli interventi circoscritti indicati.
Tuttavia, come ben rimarcato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, l’esercizio del potere sindacale extra ordinem deve essere sempre giustificato (sia sul piano della contingibilità che su quello dell’urgenza) e può trovare legittimazione solo all’esito di una verifica rigorosa della sussistenza, nel singolo caso concreto, dei presupposti previsti dalla legge per la sua applicazione, sia sotto il profilo della ricorrenza di situazioni di oggettivo pericolo per la privata e/o la pubblica incolumità, sia sotto il profilo della inevitabilità del ricorso a tale rimedio straordinario sussidiario per l’accertata insufficienza, agli effetti del conseguimento del fine perseguito, dei mezzi giuridici ordinari messi a disposizione dall’ordinamento.
La presenza di materiali contenenti amianto, peraltro, non comporta di per sé un pericolo per la salute (D.M. 6 settembre 1994) e, dunque, non giustifica automaticamente l’emissione di un’ordinanza contingibile ed urgente (cfr. TAR Campania, sez. V, 08/09/2017, n. 4324).