Ultimo Aggiornamento 21 Maggio 2024
Legittima la partecipazione del figlio all’esecuzione sul bene immobile oggetto del fondo patrimoniale
Estremamente significativa la sentenza pronunciata in grado d’appello, con la quale è stata integralmente riformata la decisione di primo grado, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’Avv. Claudia Chiarini.
Si è così ritenuto che il fondo patrimoniale, costituito su un bene immobile di proprietà del genitore di un figlio minore nato fuori dal matrimonio, non valga ad impedire la partecipazione di quest’ultimo all’esecuzione immobiliare per la soddisfazione del credito per il proprio mantenimento.
La pronuncia, pur fondandosi sul dato formale della mancata prova circa l’annotazione del fondo patrimoniale, si lascia apprezzare per il risultato che determina sul piano dell’equità sostanziale, del tutto in linea con la recente integrale parificazione dei figli nati dentro o fuori dal contesto matrimoniale.
L’oggetto del processo
Il procedimento aveva ad oggetto l’appello proposto avverso una sentenza di primo grado emessa dal Tribunale a definizione del giudizio di merito di opposizione instaurato dalla sig.ra F.M. nei confronti dell’esecuzione immobiliare promossa dalla sig.ra X per il recupero delle somme alla stessa dovute dal sig. D.E., coniuge della sig.ra F.M., quale contributo al mantenimento del figlio minore Tizio, nato da una loro relazione sentimentale.
Il credito azionato dalla sig.ra X trovava titolo in una sentenza del Tribunale dei Minori emessa a definizione del procedimento, dalla stessa attivato per il riconoscimento giudiziale della paternità del sig. D.E., la quale, accertata e dichiarata la paternità di quest’ultimo, ha posto a carico del medesimo l’obbligo – mai assolto – di concorrere al mantenimento del figlio naturale A., determinato in un assegno mensile da rivalutarsi annualmente secondo indici ISTAT.
Oggetto del pignoramento promosso dalla sig.ra X era la quota, facente capo al sig. D.M., di proprietà superficiaria (essendo titolare della nuda proprietà il Comune di F.) dell’abitazione dei coniugi D.-F., immobile dagli stessi conferito in fondo patrimoniale pochi giorni prima della nascita del piccolo A.
La signora F.M. aveva quindi agito in opposizione all’esecuzione in qualità di titolare della proprietà superficiaria della rimanente metà del bene (non coinvolta nel procedimento esecutivo), rappresentando che sull’immobile oggetto di esecuzione era stato costituito il fondo patrimoniale ed adducendo che i crediti vantati dalla signora X dovessero considerarsi contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Nell’instaurato giudizio di merito aveva quindi richiesto che fosse accertata e dichiarata la inefficacia del pignoramento eseguito dalla signora X, invocando all’uopo il disposto dell’art. 170 c.c. sancente la limitata pignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.
La sig.ra X si era costituita in giudizio eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’opposizione proposta dalla sig.ra F.M. per carenza di legittimazione in capo alla stessa e, nel merito, contestando integralmente le motivazioni poste dall’attrice alla base della opposizione medesima, chiedendone il rigetto. L’odierna appellante aveva sollevato inoltre questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 c.c. in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione, nell’interpretazione prospettata da controparte, ovvero laddove interpretata nel senso di impedire ad un figlio naturale (e per esso al genitore con il quale il figlio conviva sino a che non economicamente indipendente) di agire in via esecutiva su un bene di proprietà dell’altro genitore naturale costituito in fondo per soddisfare crediti di mantenimento e/o alimentari, risultando evidente la derivante intollerabile disparità di trattamento tra prole naturale e prole legittima, oltre che l’ingiustificata violazione dei diritti fondamentali della prole naturale e l’indebita limitazione dei diritti di azione della prole naturale medesima, oltre che del genitore con il quale questa conviva e che si faccia integralmente carico del mantenimento del figlio a fronte dell’inadempimento dell’altro genitore.
Il Giudice di prime cure aveva dichiarato inefficace il pignoramento immobiliare azionato dalla sig.ra X e interamente compensate le spese di lite.
L’appellante X aveva riproposto in appello le eccezioni preliminari di rito relative all’inammissibilità dell’opposizione spiegata dalla sig.ra F.M., le argomentazioni sulla infondatezza nel merito delle stessa nonché la sollevata questione di legittimità costituzionale, confidando, considerata la delicatezza della questione e l’assenza di giurisprudenza in punto, in una maggiore sensibilità, costituzionalmente orientata, della Corte adita.
Nelle more del giudizio – nel quale tutte le parti convenute, seppur ritualmente citate, erano rimaste contumaci – era entrata in vigore la legge n. 219/2012 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, modificante l’assetto giuridico della filiazione sulla base del principio secondo il quale “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
Le conclusioni precisate dall’appellante
L’appellante signora X aveva così precisato le proprie conclusioni:
«Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adìta, respinta ogni contraria istanza, in riforma della sentenza impugnata:
in via preliminare ed in rito dichiarare inammissibile l’opposizione proposta dalla signora F.M.;
nel merito, rigettare l’opposizione in quanto infondata in fatto ed in diritto, accertando la pignorabilità del bene oggetto di esecuzione e l’efficacia del pignoramento eseguito sulla quota di ½ della proprietà superficiaria del medesimo bene in data xxx ad istanza della signora X in danno di D.E. per il recupero delle somme a lei dovute a titolo di contributo al mantenimento del figlio naturale minorenne A.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio.
Nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Giudicante ritenesse di non aderire alla interpretazione del disposto di cui all’art. 170 c.c. indicata da questa difesa, si solleva questione di legittimità costituzionale della norma in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione, posto che ove la norma richiamata dovesse essere interpretata nel senso di impedire ad un figlio naturale (e per esso al genitore con il quale il figlio conviva sino a che non economicamente indipendente) di agire in via esecutiva su un bene di proprietà dell’altro genitore naturale costituito in fondo per soddisfare crediti di mantenimento e/o alimentari, ciò determinerebbe una intollerabile disparità di trattamento tra prole naturale e prole legittima, oltre che una ingiustificata violazione dei diritti fondamentali della prole naturale ed una indebita limitazione dei diritti di azione della prole naturale medesima, oltre che del genitore con il quale questa conviva e che dunque, in caso di inadempimento dell’altro genitore, si faccia integralmente carico del mantenimento del figlio naturale»
La inopponibilità della costituzione del fondo patrimoniale sull’immobile oggetto dell’esecuzione alla creditrice procedente signora X per mandata (prova della) annotazione a margine dell’atto di matrimonio
Come anche di recente sottolineato dalla giurisprudenza della Suprema Corte,
“L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicché, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari” (Cassazione Civile, sez. III, 19.2.2013 n. 4011).
La opponente sig.ra F.M., invero, aveva omesso di offrire compiuta dimostrazione dell’opponibilità del fondo patrimoniale alla sig.ra X, non allegando e non provando l’avvenuta annotazione dell’atto di costituzione del medesimo a margine dell’atto di matrimonio.
Il Giudice di prime cure aveva omesso di considerare la mancata dimostrazione dell’annotazione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, limitandosi a rilevare la sussistenza degli altri presupposti (in primis: la relativa trascrizione). Trattasi, nondimeno, di un elemento dirimente per escludere l’opponibilità del fondo patrimoniale alla sig.ra X, considerata la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis Cass. Civ. Sez. III, 28 settembre 2012 n. 16526, Cass. Civ. Sez. I, 25 marzo 2009, n. 7210, Cass. Civ. Sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24798, Cass. Civ. Sez. I, 5 aprile 2007, n. 8610, Cass. Civ. Sez. III, 15 marzo 2006, n. 5684) ed il recente arresto delle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 21658 del 13 ottobre 2009
La sentenza da ultimo richiamata ha infatti statuito, così puntualizzando la diversa valenza della trascrizione e dell’annotazione al fine dell’opponibilità ai terzi, che “La costituzione del fondo patrimoniale di cui all’art. 167 c.c. è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del comma 4, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo”.
Doveva poi ritenersi pacifico che l’onere di dare dimostrazione dell’avvenuta annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio gravasse sull’opponente (e che fosse stato palesemente fallito).
Oltre alla giurisprudenza della Suprema Corte sopra citata (Cassazione Civile, sez. III, 19.2.2013 n. 4011), si richiama in punto anche una recente pronuncia della giustizia tributaria per la quale: “[…] Quanto alla mancata dimostrazione dell’annotazione dell’avvenuta costituzione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, ciò determina la sua inopponibilità ovvero la sua inesistenza rispetto ai terzi con conseguente rigetto del motivo di impugnazione” (CTP Bari, 24.4.2008, n. 373).
Non poteva che stigmatizzarsi, pertanto, l’operato del Giudice di prime cure che, nonostante i rilievi in punto spiegati dalla difesa, non aveva verificato e dato conto della ricorrenza e della adeguata allegazione di un elemento di siffatta portata, come chiaramente evincibile dalla sentenza impugnata, della quale, anche a questo riguardo, si chiedeva la riforma.
Estraneità dell’esecuzione immobiliare attivata dalla sig.ra X alle ipotesi di impignorabilità dei beni del fondo patrimoniale individuate dall’art. 170 c.c. (anche alla luce della legge n. 219/2012)
Il diritto di credito posto in esecuzione dalla signora X trovava fondamento nel rapporto di filiazione (naturale) intercorrente tra (il di lei figlio) A ed il signor D.E. (coniuge della sig.ra F.M.).
Tale rapporto era stato giudizialmente accertato dal Tribunale per i Minorenni nel 2004 all’esito di un giudizio che aveva visto l’opposizione del D.E. all’accertamento di un vincolo poi comprovato dalle verifiche sul DNA delle parti coinvolte; pare utile ricordare altresì che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale su cui controparte basava la propria opposizione all’esecuzione era stato siglato tra i coniugi D.-F. solo 7 giorni prima della nascita di A., figlio naturale del signor D.E.
Siffatta tempistica nella costituzione del fondo patrimoniale era indubbiamente suggestiva dell’evidente tentativo dei coniugi D.-F. di escludere la possibilità per A. di potersi rifare sul bene conferito a fondo, a fronte degli inadempimenti del proprio padre rispetto agli obblighi di mantenimento.
A prescindere da ogni valutazione morale di tale condotta – che si connota di particolare gravità, in quanto indicativa della predeterminata volontà in capo al D.E., condivisa dalla opponente appellata, di non adempiere ai propri obblighi di padre – la difesa aveva, sin dal giudizio di prime cure (e ancor prima in fase di opposizione all’esecuzione), sottolineato che un siffatto utilizzo dell’istituto giuridico del fondo patrimoniale non potesse e non dovesse trovare avallo nel nostro ordinamento, salvo voler disconoscere la portata dell’art. 30 della Carta costituzionale, volta ad equiparare i diritti dei figli nati al di fuori del matrimonio a quelli dei figli nati nel matrimonio, per farne strumento di biasimevole discriminazione; infatti, interpretando l’art. 170 c.c. nel senso voluto dalla controparte – e, purtroppo, condiviso con discutibile argomentazione dal Giudice di prime cure – ovvero quale norma che introduce la possibilità per un soggetto che sia genitore di figli sia naturali che legittimi di destinare alcuni o tutti i suoi beni al soddisfacimento dei soli figli nati nel matrimonio, privando quelli naturali di ogni possibilità di far affidamento sul patrimonio del proprio genitore per soddisfare i bisogni primari, si darebbe luogo ad una ingiustificata differenziazione della posizione dei figli, costituzionalmente illegittima.
La difesa aveva quindi sostenuto che tra i creditori che possono soddisfarsi sui beni costituiti in fondo devono ritenersi sicuramente ricompresi i figli naturali di uno dei due coniugi, posto che il fondamento dei diritti vantati da tali soggetti è perfettamente coerente con le ragioni che stanno alla base della costituzione del fondo, e posto che tali soggetti debbono poter far affidamento sulle medesime garanzie previste per i figli nati nel matrimonio, specie per il soddisfacimento di esigenze primarie per l’esistenza quali il sostentamento materiale garantito dall’assegno di mantenimento.
Del resto, pur difettando precedenti giurisprudenziali in materia, eminente e maggioritaria dottrina (cfr. Auletta, Il fondo patrimoniale, in Commentario al codice civile diretto da Schlesinger, pag. 189; Galasso, Regime patrimoniale della famiglia, Tomo I, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, pag. 111) si era da tempo espressa in tal senso: Alfredo Galasso, ad esempio, criticava aspramente la tesi secondo la quale i beni del fondo non sarebbero destinati all’adempimento degli obblighi di mantenimento anche verso soggetti esterni al nucleo familiare coniugale (quali i figli naturali unilaterali di uno dei coniugi), sottolineando come “… tale tesi trascuri di valutare il peso crescente del principio di solidarietà nello sviluppo del nostro sistema giuridico, anche di là dalla famiglia nucleare fondata sul rapporto coniugale e sulla filiazione legittima”, tanto più che, come sottolinea l’autore, quando si parla di obblighi di mantenimento verso figli naturali non conviventi anche di uno solo dei coniugi, “… il soddisfacimento dei loro bisogni confluisce e si confonde nel soddisfacimento dei bisogni del genitore…”, per cui nessuna giustificazione giuridica può essere rinvenuta nel sistema a sostegno dell’esclusione di tali soggetti dalla possibilità di soddisfarsi sui beni del fondo.
Considerazioni alla luce della legge 219/2012
I rilievi svolti dalla difesa, appena ripercorsi, traevano nuova linfa argomentativa nonché valido e pregnante sostegno giuridico dalla riforma dell’ordinamento attuata dalla legge n. 219/2012 e dai principi ispiratori della stessa.
All’esito dell’entrata in vigore della menzionata legge, il prof. Cesare Massimo Bianca – presidente della Commissione ministeriale per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica alla relativa disciplina, nella Relazione conclusiva del 4 marzo 2013, ripercorrendo l’iter dei lavori parlamentari e della Commissione presieduta – ha ben evidenziato che “la presenza nel nostro ordinamento di norme che dettavano un diverso regime e diversi diritti a seconda delle “categorie” di figli, strideva con i principi fondamentali sanciti dagli articoli 2,3 e 30 della Costituzione che assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni forma di tutela giuridica e sociale” ed inoltre che “obblighi internazionali hanno imposto di rimuovere la persistente discriminazione a carico dei figli nati fuori del matrimonio: a) l’articolo 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante nel nostro ordinamento a seguito dell’entrata in vigore (1 dicembre 2009) del Trattato di Lisbona (art. 6 del Trattato sull’Unione europea – versione consolidata) vieta ogni forma di discriminazione fondata sulla nascita; b) la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Cedu), pur non prevedendo disposizioni esplicite in materia di filiazione, all’articolo 8 protegge la vita privata e familiare e all’art. 14 pone il divieto di qualsiasi discriminazione”.
In un siffatto contesto era dunque improcrastinabile ed “urgente elaborare un intervento organico per superare tali discriminazioni rendendo l’ordinamento italiano conforme a principi di equità sostanziale oltre che a norme vigenti a livello sovranazionale”.
La legge n. 219/2012 ha perseguito tale obiettivo portando a compimento il processo di parificazione dei figli naturali e legittimi avviato con la riforma del 1975 e proseguito dal legislatore del 2006; proprio per superare le residue – tuttavia, assai rilevanti – differenziazioni tra figli legittimi e figli naturali, l’intervento legislativo del 2012 ha inteso realizzare l’unicità dello stato giuridico di filiazione, che assorbe e supera il principio di parità che era stato attuato dalla riforma del 1975 (si veda M. Sesta L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Famiglia e Diritto, n. 3/2013, pag. 231 ss.).
La disposizione centrale, attorno alla quale ruota l’intera legge è infatti certamente quella del novellato art. 315 c.c., ora rubricato “Stato giuridico della filiazione”, ove si afferma che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
A questa norma si collega poi quella che, modificando l’art. 74 c.c., stabilisce che “la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottato”; a detta disposizione si allaccia, infine, quella del modificato art. 258 c.c., per la quale “il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”.
Come sostenuto in dottrina “E’ evidente che, in forza delle citate disposizioni, il soggetto – una volta conseguito lo stato di figlio a seguito della nascita da genitori coniugati, del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale – diventa parente delle persone che discendono dallo stipite dei suoi genitori: egli quindi entra a far parte della loro famiglia (estesa), indipendentemente dal fatto che sia stato concepito nel, fuori o contro il matrimonio. […] Dalle norme sopra citate risult[a] radicalmente modificata la nozione di famiglia legale che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente prescindono da esso” (così M. Sesta, op. cit., pag. 233).
Assai significativa è anche l’introduzione dell’art. 315 bis tra le norme del titolo nono del Libro primo del codice civile, ora rubricato “Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio”, che enuncia e trasferisce nella sede opportuna – anche a sottolineare la effettiva uguaglianza di stato giuridico dei figli – il principio secondo il quale “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
Alla luce del nuovo archetipo della disciplina della filiazione, delineatosi all’esito dell’intervento legislativo del 2012, pertanto, deve reputarsi indubbio che non possa più assolutamente avallarsi la possibilità di ascrivere il debito di un genitore per il mantenimento del figlio nato fuori dal matrimonio tra quelli contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia né acconsentire ad una lettura dell’art. 170 c.c. che pieghi l’istituto del fondo patrimoniale a strumento di discriminazione della prole non ammettendo che tra i soggetti beneficiati dalla costituzione del fondo vi siano i figli nati fuori dal matrimonio, così escludendoli dalla possibilità di soddisfarsi sui beni del fondo in relazione ai loro diritti fondamentali, quali quelli al mantenimento.
L’argomentazione svolta dal Giudice di primo grado per la quale “la destinazione dei beni del fondo al soddisfacimento degli obblighi di mantenimento di figli nati da relazione extraconiugale non è compatibile con la destinazione dei medesimi beni alla soddisfazione delle esigenze dei figli legittimi”, se già in precedenza censurabile, strideva con tutta evidenza con i principi costituzionali e comunitari ai quali il legislatore ha voluto dare finalmente piena attuazione con la novella del 2012.
Né poteva più cercarsi appiglio argomentativo nel principio della compatibilità della tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori dal matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, richiamato nel terzo comma dell’art. 30 Cost, per cercare di far residuare una posizione differenziata della prole.
Come in modo assai condivisibile è stato osservato in dottrina, “L’unificazione dello status di figlio si colloca certamente nella linea indicata dalla nostra Costituzione e dai principi europei, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte Europea di Strasburgo. In tal modo non si intende svalutare il matrimonio, ma considerare il rapporto di filiazione come valore “originale e non dipendente”, si intende attuare pienamente il principio di eguaglianza di tutti i figli, senza distinzione di nascita (art. 21, Carta di Nizza, 3 Cost.), dare tutela al preminente interesse del minore, realizzare il principio di responsabilità per la procreazione (art. 30, comma 1 Cost.). Il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità che la Corte Costituzionale ancora di recente gli ha riconosciuto (cfr. Corte cost. 18 dicembre 2009, n. 335), manifesta che il limite di compatibilità tra diritti dei figli naturali e diritti dei membri della famiglia legittima, previsto dall’art. 30 Cost. come meramente eventuale, non giustifica più, nel contesto attuale, alcuna residua disparità di trattamento ed il precetto costituzionale di eguaglianza può dispiegarsi pienamente non solo nella relazione verticale tra genitori e figli, ma anche in quella orizzontale con i parenti” (G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corriere Giuridico, n. 4/2013, pag. 527). In termini ancora più netti si è anche espresso M. Sesta (cfr. op cit., pag. 234), affermando “in forza delle nuove regole, pare altresì affievolirsi, fino forse ad annullarsi, il principio della compatibilità della tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori dal matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, richiamato nel terzo comma dell’art. 30 Cost, atteso che di famiglia legittima parrebbe ormai non sia più dato parlare”.
Dovevano pertanto essere accolte le legittime istanze della sig.ra X, la quale aveva sempre cercato di rivendicare la possibilità paritaria per il piccolo A. di veder soddisfatte le proprie esigenze di figlio, a fronte della condotta del D.M. che, anche ricorrendo allo strumento del fondo patrimoniale, aveva cercato – sino ad allora, purtroppo, con biasimevole successo – di sottrarsi ai propri obblighi genitoriali.
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