Ultimo Aggiornamento 21 Maggio 2024
Sicurezza delle cure ed “Errore” in medicina – Medmal WORDS
Gli errori umani, e più in particolare gli errori di quegli uomini che esercitano una professione sanitaria, rappresentano un fenomeno complesso e affascinante, ricco di implicazioni di carattere clinico, manageriale, giuridico e, alla radice, anche filosofico ed epistemologico, se vogliamo usare una parola difficile. Quando sono iniziati gli studi sull’errore in medicina? E come ci si è accorti dell’importanza di controllare e, ove possibile, prevenire il rischio che un errore provochi danni ad un paziente? Ce ne parla l’Avv. Gabriele Chiarini.
“MedMal WORDS | Le parole della responsabilità sanitaria” è un progetto divulgativo a cura di STUDIO LEGALE CHIARINI – Associazione Professionale.
INDICE SOMMARIO
- § 1. Le prime riflessioni scientifiche di C. Cabot sull’errore in medicina
- § 2. La ricerca di T.A. Brennan
- § 3. Errare è umano: il rapporto “To Err is Human” dell’I.O.M.
- § 4. Errore e medical malpractice
§ 1. Le prime riflessioni scientifiche di C. Cabot sull’errore in medicina
La prima vera riflessione scientifica sugli errori in medicina risale probabilmente agli studi del professor Cabot[1], che, all’inizio del secolo scorso, condusse alcune esercitazioni durante le sue lezioni ad Harvard.
Cabot e i suoi studenti avevano preso i risultati di circa mille autopsie e li avevano messi a confronto con le valutazioni cliniche formulate dai medici prima della morte dei pazienti.
Bene: le diagnosi si erano rivelate, in un numero sorprendente di casi, sbagliate.
Così, ci si cominciò a rendere conto dell’esistenza e della diffusione del problema.
[1] Si v. R.C. CABOT, A study of mistaken diagnosed based on the analysis of 1.000 autopsies and a comparison with the clinical findings, in Journal of the American Medical Association, 1910, p. 1343; IDEM, Diagnostic pitfalls identified during a study of three thousand autopsies, ivi, 1912, p. 2295.
§ 2. La ricerca di T.A. Brennan
Si dovette però attendere la fine del ‘900 per una ricerca più strutturata e fondata su un metodo rigoroso.
Lo studio di Brennan[2] ed altri, pubblicato nel 1991, analizzò un campione di oltre 30mila cartelle cliniche e gettò le basi per individuare le regole attraverso cui misurare e descrivere l’errore nelle organizzazioni sanitarie, vivacizzando la discussione sui temi dell’errore, della sicurezza dei pazienti e del rischio connesso all’erogazione delle cure.
[2] T.A. BRENNAN et al., Incidence of adverse events and negligence in hospitalized patients. Results of the Harvard medical practice study I, in The New England journal of medicine, 1991, p. 370, secondo cui circa il 4% dei pazienti ospedalizzati va incontro a complicanze che comportano un prolungamento della degenza, disabilità o morte; due terzi di queste complicanze sarebbero dovute ad errori sanitari. Più tardi L. DONALDSON, An organisation with a memory, in Clinical medicine journal, 2002, p. 452, preciserà che circa il 10% delle persone che entrano in ospedale va incontro ad un evento avverso nel corso della sua storia clinica, e questo dato resterà sostanzialmente invariato sino ai giorni nostri (cfr., ad esempio, W.H.O., Delivering quality health services. A global imperative for universal health coverage, 2018, p. 16).
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§ 3. Errare è umano: il rapporto “To Err is Human” dell’I.O.M.
Poi, tra il 1999 e il 2000 fu divulgato quello che ancor oggi viene considerato il punto di svolta nel dibattito: il rapporto “To Err is Human” (“Errare è umano”), a cura dell’Institute of Medicine americano (che oggi si chiama National Academy of Medicine).
Per la prima volta si effettuò una stima dei decessi attribuibili ad errori medici e si giunse ad evidenziare un numero di morti per malpractice negli Stati Uniti obiettivamente significativo: 100mila ogni anno[3]!
Numero destinato, peraltro, ad incrementarsi nei successivi tentativi di quantificazione delle dimensioni del fenomeno dell’errore, tanto è vero che studi successivi arriveranno a parlare di 200mila e, addirittura, 400mila vittime annue di errori sanitari solo negli ospedali statunitensi[4].
[3] I.O.M., To Err Is Human. Building a Safer Health System, Washington, 2000, secondo il quale ogni anno circa 100mila persone morirebbero a causa di un errore sanitario negli ospedali statunitensi, valutazione successivamente confermata da T.L. RODZIEWICZ et al., Medical error reduction and prevention, in www.ncbi.nlm.nih.gov, 06/08/2021.
[4] Ad esempio, secondo il rapporto del 2004 HealthGrades Quality Study. Patient Safety in American Hospitals, in www.providersedge.com, i decessi per errore medico negli U.S.A. potrebbero essere di circa 200mila unità; addirittura, secondo uno studio successivo (D.C. CLASSEN et al., “Global trigger tool” shows that adverse events in hospitals may be ten times greater than previously measured, in Health Affairs, 2011, p. 581), la stima delle vittime andrebbe ricalcolata ed aggiornata a 400mila casi annui; una valutazione posteriore (J.G. ANDERSON et al., Your health care may kill you: medical errors, in Studies in Health Technology and Informatics, 2017, p. 13) parla, invece, di 251mila decessi all’anno, additando comunque gli errori in sanità quale terza causa di morte negli Stati Uniti d’America.
§ 4. Errore e medical malpractice
Ora, questi studi scontano sicuramente un certo grado di aleatorietà: lo dimostra, se non altro, la rilevante difformità fra i dati numerici che vengono proposti. Ad ogni modo, essi documentano che la questione dell’errore esiste ed ha un certo rilievo.
Per questa ragione, si è progressivamente affermata l’idea che fosse necessario – anche in ambito sanitario, come lo era stato, ad esempio, nell’aviazione, nella produzione di energia nucleare, nella difesa militare e in tutti i settori dove si fanno attività molto complesse – identificare, quantificare, controllare e, ove possibile, prevenire il rischio clinico, vale a dire la possibilità che un paziente subisca un danno nel corso del processo assistenziale a causa di un errore.
Così, è stata riconosciuta la centralità del cd. “risk management”, disciplina praticamente ignota ai giuristi, almeno fino a quando una legge, nel 2017, la n. 24 molto più conosciuta come “legge Gelli”, ha detto che, se non si previene e si gestisce il rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie, non si può realizzare la sicurezza delle cure, che è parte costitutiva del diritto alla salute.
Ma di questo parleremo meglio in un altro approfondimento…