Risarcimento per dimissioni ospedaliere affrettate

Risarcimento per dimissioni ospedaliere affrettate

Ultimo Aggiornamento 3 Ottobre 2024

Responsabilità della struttura sanitaria e del personale medico in caso di incauta dimissione del paziente

Si parla di dimissioni ospedaliere affrettate o improprie quando il paziente viene dimesso dalla struttura sanitaria senza che le sue condizioni di salute si siano stabilizzate, oppure qualora non ci siano le condizioni per proseguire le cure a domicilio o presso altro luogo di ricovero (in caso di previsto trasferimento).

Questa affermazione va interpretata tenendo conto del fatto che, nel contesto del nostro Servizio Sanitario Nazionale, il ruolo dell’ospedale è quello di essere il luogo dove vengono curate le urgenze e le patologie quando sono allo stadio acuto. Terminata l’urgenza e la fase acuta della malattia, il paziente può essere dimesso ed affidato all’assistenza della rete territoriale, oppure può essere trasferito presso altra struttura non ospedaliera.

Si può aver diritto ad un risarcimento se, a causa delle dimissioni affrettate, il paziente subisce un danno a livello di salute, o addirittura si verifica il suo decesso. Inoltre, secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, in questi casi il personale sanitario corre il rischio di essere chiamato a risponderne anche penalmente. Il medico è infatti responsabile personalmente della decisione di dimettere il paziente.

Vediamo quando si può parlare di dimissioni ospedaliere improprie e/o affrettate, come si può agire per tutelarsi di fronte a una proposta di dimissione del paziente che non si condivida, e cosa si può fare se, a seguito delle dimissioni, il paziente subisca un danno alla salute.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Dimissioni ospedaliere affrettate e responsabilità penale: le indicazioni della Cassazione

L’orientamento della nostra giurisprudenza in tema di dimissioni ospedaliere affrettate e risarcimento è ben riassunto dalla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 8254/2011, che è intervenuta proprio in merito ad un caso di dimissioni improprie. Nel caso di specie la Corte ha preso in considerazione il caso di un paziente deceduto successivamente a dimissioni ospedaliere premature.

Questa sentenza è un punto di riferimento importante nell’ambito che stiamo analizzando, perché definisce i parametri di valutazione delle dimissioni ospedaliere improprie, dunque individua i presupposti perché si possa affermare la responsabilità penale dell’operatore che abbia dimesso incautamente il paziente, e la conseguente possibilità di chiedere il risarcimento, quando queste sono state causa di un danno alla salute del paziente.

Il primo punto fermo stabilito dalla Corte di Cassazione è che quando si verifica un aggravamento delle condizioni del paziente dimesso, o addirittura se sopraggiunge la morte, il medico può essere accusato di lesioni o di omicidio colposo.

Nel caso specifico, l’operatore sanitario, che aveva avuto in cura un paziente per un infarto, ne aveva disposto le dimissioni dopo 9 giorni di ricovero, così come peraltro previsto dai protocolli e dalle direttive della struttura ospedaliera. Il paziente, poche ore dopo le dimissioni, aveva avuto un ulteriore attacco cardiaco che lo aveva condotto a morte.

In primo grado, era stata affermata la responsabilità medica del professionista sanitario, giudicato in colpa per aver dimesso il paziente con imprudenza e imperizia, non avendo valutato la peculiare gravità del caso specifico. Il paziente infatti, a causa del suo quadro clinico generale risultava particolarmente a rischio e, anche se non aveva bisogno di un monitoraggio costante, non era nelle condizioni di poter essere dimesso.

In sede di appello, invece, si era stabilito che il sanitario non potesse esser ritenuto colpevole, in quanto si era attenuto scrupolosamente alle linee guida ed alle direttive previste dalla struttura ospedaliera.

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di appello, chiarendo in motivazione che attenersi alle linee guida non esime il medico dalle proprie responsabilità personali di garante del diritto fondamentale dell’ammalato di essere curato. Nella stessa sentenza la Corte sottolinea il fatto che il medico deve pensare solo alla salute del paziente, senza anteporre altri tipi di esigenze, magari di carattere economico e/o aziendale. La vicenda in esame, quindi, meritava ulteriori approfondimenti e una più adeguata motivazione sui profili di colpa addebitati al medico.

§ 2. Quando un paziente può essere dimesso da un ospedale?

L’ospedale può procedere alle dimissioni quando i medici ritengono che la condizione clinica del paziente sia stabile, escludono il rischio di peggioramento del suo stato di salute, e ritengono che, per la completa guarigione, sia sufficiente la cura domiciliare o presso altra struttura di ricovero a carattere non ospedaliero.

Se un tempo si dimetteva il paziente solo nel momento in cui era totalmente guarito, oggi si dimette il paziente che non ha più bisogno delle cure specialistiche della struttura sanitaria ospedaliera. Quindi il paziente viene dimesso una volta che sia stata superata la fase acuta della malattia per cui è stato ricoverato. D’altronde, come abbiamo già accennato, l’ospedale è il luogo di cura dei pazienti acuti, perciò il ricovero termina quando finisce lo statio acuto della patologia che lo ha reso necessario.

Ma perché si assiste spesso a dimissioni ospedaliere affrettate?

Bisogna ricordare che in Italia, fino al 1994, la remunerazione delle prestazioni sanitarie veniva calcolata sulla base della durata della degenza, vale a dire che il rimborso era proporzionale ai giorni in cui il paziente rimaneva ospedalizzato. Poi è stato introdotto il sistema delle  DRG (Diagnosis Related Groups), secondo il quale la struttura ospedaliera viene remunerata in base a una tariffa fissa, dipendente dalla prestazione erogata. Da allora, è chiaro che l’ospedale abbia interesse a dimettere anticipatamente il paziente, a condizione beninteso che sia stabile e non corra rischi di peggioramento. Infatti, le dimissioni anticipate consentono alla struttura di accogliere un numero più alto di pazienti, erogare più prestazioni ed ottenere, di conseguenza, maggiori rimborsi.

Quanti tipi di dimissioni ospedaliere esistono?

Le dimissioni possono essere di 2 tipi:

  1. Dimissioni ordinarie: il paziente rientrerà a domicilio e dovrà fare il normale percorso di convalescenza a casa, con l’eventuale assistenza della ordinaria rete territoriale;
  2. Dimissioni protette: il paziente ha bisogno di ulteriori cure che devono essere effettuate da persona specializzata. In questo caso la struttura sanitaria concorda, con la famiglia e/o con strutture assistenziali locali, un percorso di cura che potrà essere svolto:
    • a casa, con attivazione di un percorso di assistenza domiciliare;
    • in una struttura non ospedaliera (come, ad esempio, gli hospice);
    • presso una casa di riposo o una R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistenziale).

Cosa deve contenere la lettera di dimissioni?

La lettera di dimissioni, firmata dal medico del reparto che concretamente vi provvede, è predisposta per essere consegnata al medico di medicina generale. Deve quindi contenere le indicazioni necessarie per avere un quadro clinico completo dello stato di salute del ricoverato: motivi del ricovero, cure effettuate, decorso ed eventuale piano terapeutico.

La lettera o relazione di dimissione è un atto importante e complesso, che informa il paziente ed il suo medico curante sugli esiti del ricovero che sta terminando. Quando il paziente viene rilasciato dall’ospedale in assenza della lettera di dimissioni, se si verificano delle complicanze conseguenti alla mancata informazione, è verosimile ritenere che sia configurabile una responsabilità medica a carico della struttura sanitaria.

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§ 3. Cosa deve fare il medico prima di dimettere il paziente?

Nella già citata sentenza di Cass. pen. n. 8254/2011, il medico aveva affermato, a propria difesa, di aver adottato la decisione seguendo le scrupolosamente i protocolli e le linee guida della struttura ospedaliera. La Corte ha colto l’occasione per sottolineare che le direttive e le linee guida si riferiscono a casi astratti, e non hanno valore assoluto. Invece, come prevede anche il codice deontologico, il sanitario ha piena autonomia di azione e l’unico parametro di valutazione a cui si deve attenere è costituito dalle reali condizioni di salute del paziente.

Questa sentenza ci indica quale deve essere la condotta del medico rispetto alla decisione di dimettere il paziente:

  • Il medico deve perseguire un unico fine: la cura del malato, utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura;
  • Il medico si deve attenere al codice deontologico. Seguire le linee guida e le direttive previste dalla struttura sanitaria non libera automaticamente il medico dalle proprie responsabilità. I protocolli non costituiscono, infatti, l’unica regola di condotta del medico, sufficiente ad escludere qualsiasi ipotesi di colpa professionale;
  • Le ragioni economiche dell’ospedale non devono essere una priorità. Il medico non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico.

Il medico è responsabile dello stato di salute del paziente, quindi ha il dovere di accertarsi della sua reale condizione clinica, utilizzando la strumentazione messa a disposizione dalla struttura ospedaliera.

Anche se il quadro clinico si è stabilizzato e le direttive della struttura impongono di gestire in modo oculato le risorse economiche, questo non deve avere come conseguenza un’attenuazione delle responsabilità del medico.

In merito alle direttive stesse, la Corte di Cassazione, sempre nella richiamata sentenza 8254/2011, chiarisce che

“[…] lo stesso sistema sanitario, nella sua complessiva organizzazione, è chiamato a garantire il rispetto dei richiamati principi, di guisa che a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato”.

Cass. pen. IV, 02/03/2011, n. 8254

§ 4. Come tutelarsi in caso di dimissione improprie dall’ospedale

Le dimissioni sono improprie non solo quando il quadro clinico del paziente non è stabilizzato, ma anche quando il paziente ha una situazione che non permette alla famiglia di seguirlo o di trasferirlo in altra struttura. Anche in questi casi è inopportuno disporre le dimissioni.

Quando il paziente o i suoi familiari vengono informati delle prossime dimissioni ospedaliere, e ritengono siano improprie, o quanto meno premature, possono procedere in questo modo:

  • Richiedere il foglio di dimissioni, senza però firmarlo o farlo firmare ai parenti. Verificare i documenti che contiene. Contestualmente può essere fatta richiesta della cartella clinica che sarà inviata una volta che verrà chiusa dal reparto che ha preso in cura il paziente;
  • Cercare di parlare con il direttore del reparto per spiegare la particolarità della situazione;
  • Avvertire il medico di medicina generale e tentare di trovare, attraverso il suo intervento, una soluzione più adeguata;
  • Chiedere alla Direzione Sanitaria di individuare un’altra struttura per proseguire le cure.

Se nessuna di queste soluzioni funziona, allora si può formalizzare la propria contrarietà alle dimissioni: inviando una comunicazione via posta elettronica certificata, il paziente o i suoi familiari chiedono espressamente che non si proceda alla dimissione o, in subordine, ipotizzano il trasferimento in altro reparto del medesimo ospedale, ovvero in altra struttura idonea. Questa iniziativa, di solito, è sufficiente perché l’ospedale riconsideri la situazione e, se effettivamente si tratta di dimissioni affrettate, ne rivaluti l’opportunità.

§ 5. Cosa fare se si ritiene che le dimissioni affrettate siano causa di un danno alla salute?

Il concetto di dimissioni affrettate è ampio e connesso alla posizione di garanzia che indubbiamente compete ad ogni operatore sanitario, imponendogli di attivarsi affinché il paziente non subisca un danno.

Non a caso, la giurisprudenza non lo limita al caso di ricovero ospedaliero, ma anche – ad esempio – al caso di dimissione all’esito di accesso presso la Guardia Medica che abbia visitato il paziente e lo abbia rimandato a casa senza disporre gli ulteriori accertamenti ed esami necessari per la sua condizione.

E’ quanto accaduto nel caso esaminato dalla recente sentenza della Cassazione civile n. 19372 del 07/07/2021. Qui la Corte, tornando a pronunciarsi in tema di responsabilità medica per incauta dimissione del paziente, ha dovuto valutare una fattispecie in cui il paziente si era presentato a visita dalla Guardia Medica, lamentando un dolore toracico “sordo, oppressivo, come di mancanza d’aria”.

Il professionista si era limitato a consigliare al paziente di eseguire ulteriori esami diagnostici, in quanto la sintomatologia dolorosa poteva essere collegata a varie patologie. Il paziente, alcune ore dopo la dimissione, era deceduto a causa di una dissecazione dell’aorta.

In questo caso, la terza sezione civile della Cassazione ha ravvisato una evidente negligenza ed imprudenza del sanitario, non tanto per l’omessa diagnosi quanto per non aver disposto la prosecuzione dell’iter diagnostico. La Corte ha specificato che il medico non avrebbe dovuto limitarsi a suggerire ulteriori accertamenti diagnostici, ma avrebbe dovuto disporli egli stesso.

Quindi avrebbe dovuto indirizzare il paziente verso una struttura sanitaria idonea ad eseguire questi accertamenti, che avrebbero consentito di confermare il processo dissecativo in corso, avviando subito il paziente al trattamento chirurgico che lo avrebbe con tutta probabilità salvato.

Se tu o un tuo congiunto ritenete di aver subito un danno alla salute in seguito ad improprie dimissioni da una struttura sanitaria, pubblica o privata, rivolgetevi ad un avvocato specializzato nella gestione di casi di malasanità che, insieme al medico-legale ed allo specialista nella disciplina oggetto della vicenda clinica, valuterà se si ci siano i margini per ipotizzare il diritto a un risarcimento danni per dimissioni ospedaliere affrettate, fonte di responsabilità medica.