Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024
Le limitazioni dell’ordinamento italiano alla procreazione medicalmente assistita
Una coppia omosessuale, composta da due donne, che aveva concepito una bimba con fecondazione assistita in Spagna e nata in Veneto, si era rivolta al Tribunale di Treviso per ottenere l’iscrizione nell’atto di nascita, oltre al nome della madre biologica, anche di quello della madre intenzionale. Il Tribunale aveva riconosciuto la legittimità del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di scrivere il nome di entrambe le ricorrenti come genitori della minore.
La Corte d’Appello di Venezia aveva confermato il rifiuto di menzionare nell’atto di nascita anche il nome della madre intenzionale. Le soccombenti, però, avevano proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 7668 del 3 aprile 2020, ha respinto il ricorso con una motivazione destinata ad accendere un interessante dibattito.
Esaminiamo la sentenza nelle sue parti essenziali, in quanto i temi affrontati sono di grande rilevanza sociale e giuridica.
§ 1. Le limitazioni alla procreazione medicalmente assistita (PMA) in Italia
Per i giudici della Suprema Corte, una sola persona ha diritto ad essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato.
Questa restrizione è attualmente vigente all’interno dell’ordinamento italiano: deve essere applicata agli atti di nascita formati in Italia a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa.
La Cassazione ha rilevato che, dall’assetto della legge sulla procreazione medicalmente assistita, emergono due importanti limitazioni: la prima attiene alla funzione della PMA, configurata solo come rimedio alla sterilità o infertilità e non anche una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa al concepimento naturale. La seconda limitazione attiene alla struttura del nucleo familiare, ispirato al modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre. Per la legge italiana, infatti, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita “solo le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi ”.
§ 2. La differenza fra adozione e PMA
La difesa aveva fatto riferimento ai recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità diretti al riconoscimento dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali; gli Ermellini hanno risposto sottolineando la netta differenza tra l’adozione e la PMA.
Nel richiamare la sentenza n. 221 del 2019 della Corte costituzionale, la Cassazione specifica che l’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non è finalizzata a dare un figlio a una coppia, ma il suo scopo principale è dare al minore una famiglia. Nell’adozione, il minore è già nato e la legge consente che lo stesso conservi relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate. La PMA, di contro, serve a dare un figlio a una coppia al solo fine di realizzarne le aspirazioni genitoriali e il legislatore, nel vietarla, si preoccupa di garantire al bambino quelle condizioni di partenza ottimali per la sua nascita e la sua crescita.
§ 3. Gli atti di nascita formati all’estero
La Suprema Corte, riferendosi all’ormai ammesso riconoscimento in Italia di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione da due persone dello stesso sesso, considera detta possibilità come eccezionale.
Infatti, il consenso giurisprudenziale alla trascrizione degli atti di nascita formati in altri Paesi si ispira alla necessità di tutela del diritto alla continuità (e conservazione) dello «status filiationis» acquisito all’estero, unitamente al valore della circolazione degli atti giuridici, quale manifestazione dell’apertura dell’ordinamento italiano alle istanze internazionalistiche, delle quali può dirsi espressione anche il sistema del diritto internazionale privato.
§ 4. La maternità surrogata vietata in nome dell’ordine pubblico
Per le coppie maschili, invece, il divieto del ricorso alla PMA è assoluto in quanto la genitorialità assistita passa necessariamente attraverso la pratica della maternità surrogata, che è vietata da una disposizione (l’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004) ritenuta espressiva di un principio di ordine pubblico.
Detto divieto è stato previsto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione, che sono dal legislatore ritenuti prevalenti sull’interesse del minore. Ferma restando, beninteso, la possibilità di ricorrere ad altri istituti giuridici (come l’adozione) per attribuire rilievo alla relazione genitoriale esistente.