Consenso Informato Risarcimento Danni - Avv. Lucia Spadoni

Il consenso informato al trattamento sanitario e i profili del risarcimento danni in caso di sua violazione

Ultimo Aggiornamento 3 Dicembre 2024

Risarcimento Danni & Consenso Informato

La legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) ha introdotto nel nostro ordinamento una specifica normativa sulle modalità di informazione del paziente e di acquisizione del suo consenso (o del suo rifiuto) al trattamento sanitario, ponendosi in linea con la normativa europea e la giurisprudenza di legittimità, le quali da tempo hanno riconosciuto nella manifestazione del consenso informato del paziente alla prestazione sanitaria l’esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione, distinto dal diritto alla salute.
Percorriamo in breve gli aspetti salienti della disciplina in punto e gli approdi della giurisprudenza in tema di risarcimento danni da violazione del consenso informato.


§ 1. Il diritto all’informazione sul trattamento sanitario ed il ruolo del consenso informato

In ossequio alle finalità di tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona garantiti dalla nostra Carta costituzionale agli articoli 2, 13 e 32, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 1 della legge n. 219/2017 statuisce che:

[…] nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”.

(art. 1, comma 1 l. 219/2017)

L’informazione del paziente, funzionale alla possibilità di esprimere un suo consenso (o un diniego) davvero informato, deve considerarsi un elemento cardine per la valorizzazione della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico; non a caso la legge n. 219/2017 sancisce che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” (art. 1, comma 8) e prevede una adeguata formazione dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie anche in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e cure palliative.

La legge n. 219/2017 afferma il diritto, per ogni persona,

di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari, nonché riguardo alle possibili alternative, alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

(art. 1, comma 3 l. 219/2017)

Parimenti, il paziente ha la possibilità di rifiutare di ricevere in tutto o in parte le suddette informazioni e di indicare i familiari o una persona di sua fiducia quali soggetti incaricati di raccoglierle in sua vece (art. 1, comma 3).
Viene infatti espressamente riconosciuta al paziente la possibilità di coinvolgere nella relazione di cura medico-paziente anche i familiari, la parte dell’unione civile, la persona convivente o altra persona di fiducia, i quali possono quindi essere partecipi dell’informazione.
Il rifiuto o la rinuncia all’informazione del diretto interessato debbono essere annotati in cartella clinica.

§ 2. Modalità di espressione del consenso informato o del rifiuto al trattamento sanitario

La normativa dispone che il consenso informato è “acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente” ed è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o altri dispositivi che consentano alla persona disabile di comunicare (cfr. art. 1, comma 4 l. 219/2017).
Il paziente ha altresì il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi trattamento sanitario o accertamento diagnostico indicati dal Medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento.
Giova rammentare che nel novero dei trattamenti sanitari sono compresi anche la nutrizione e l’idratazione artificiali.

In piena adesione alla riconosciuta libertà di autodeterminazione del paziente alla cura ed alla tutela della sua salute, si riconosce altresì in capo allo stesso ha anche il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso in precedenza prestato, anche quando detta decisione comporti l’interruzione del trattamento sanitario già avviato.

Il consenso informato, la revoca del consenso ed il rifiuto al trattamento sanitario debbono essere acquisiti secondo le modalità indicate dall’art. 1, comma 4 l. 219/2017 (forma scritta, videoregistrazione o altro dispositivo) e debbono essere inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

§ 3. Il consenso informato al trattamento sanitario dei minori e degli incapaci

In relazione ai minori, in quanto ex lege incapaci di agire per la minore età, ed agli altri soggetti incapaci, la tematica dell’esercizio del diritto alla salute e all’autodeterminazione, espressione di interessi di natura personale ed esistenziale certamente meritevoli di tutela, assume una peculiare connotazione.
L’incapacità di agire in un ambito così delicato e personalissimo come quello delle determinazioni sui trattamenti sanitari è superata con il riconoscimento di un potere sostitutivo in capo al soggetto responsabile del minore o dell’incapace (genitore, tutore).

Il nostro ordinamento da tempo si è mostrato sempre più incline a dare rilievo alla concreta capacità del soggetto minorenne (e dell’incapace) di assumere autonomamente decisioni responsabili per assegnare di conseguenza ai genitori o ai tutori un ruolo di indirizzo e di responsabilità che non può prescindere ma anzi deve opportunamente confrontarsi con la capacità naturale di discernimento del minore e dell’incapace.
La legge n. 219/2017 fa proprio tale orientamento statuendo che:

La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”.

(art. 3, comma 1 l. 219/2017)

Pertanto, pur non arrivando a riconoscere anche in capo al minore ed all’incapace un diritto pieno all’autodeterminazione sanitaria da esercitare in prima persona, la legge n. 219/2017 afferma il diritto alla valorizzazione delle loro capacità di discernimento, all’informazione ed alla manifestazione della loro volontà, promuovendo quindi una loro compartecipazione al processo decisionale che conduce il genitore o il tutore al consenso o al rifiuto del trattamento sanitario.
La legge n. 219/2017, all’art. 3, stabilisce infatti:

  • in relazione al minore: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità” (art. 3, comma 2 l. 219/2017);
  • in relazione all’interdetto:Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell’articolo 414 del codice civile è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità” (art. 3, comma 3 l. 219/2017).

Nelle ipotesi di sola limitazione della capacità di agire (soggetti inabilitati o sottoposti all’amministrazione di sostegno), l’espressione del consenso informato permane in capo al diretto interessato; il consenso può quindi essere espresso dalla persona inabilitata e dalla persona amministrata se l’ambito sanitario è rimasto escluso dalla disciplina dell’amministrazione di sostegno. Invece,

nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”.

(art. 3, comma 4 l. 219/2017)

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§ 4. Cosa accade in caso di rifiuto al trattamento e diniego del consenso informato

Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il Medico deve prospettare al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative; il Medico deve altresì promuovere ogni azione utile di sostegno al paziente, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.
Il Medico è poi tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare allo stesso, andando esente da ogni profilo di responsabilità civile o penale per le possibili conseguenze a carico del paziente.

Il dettato normativo puntualizza altresì che:

Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”.

(art. 1, comma 6 l. 219/2017)

Resta fermo che, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato, “il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze”. La legge afferma altresì che a tal fine è garantita un’appropriata terapia del dolore e l’erogazione di cure palliative (art. 2, comma 1 l. 219/2017).
Peraltro, nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, la normativa impone al Medico di astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati.
Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (n. 242 del 22/11/2019) ha affermato che l’art. 2, comma 2, della legge n. 219/2017, laddove stabilisce che il Medico possa, con il consenso del paziente, ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, per fronteggiare sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, si applica anche alle sofferenze derivanti al paziente dal suo legittimo rifiuto di trattamenti di sostegno vitale, quali la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiali.

A tutela del minore, della persona interdetta o inabilitata o sottoposta ad amministrazione di sostegno, la legge prevede (art. 3, comma 5 l. 219/2017) che la decisione sull’esecuzione o meno del trattamento sanitario sia rimessa al Giudice Tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui all’art. 406 c.c. o del Medico o del rappresentante legale della Struttura Sanitaria, allorquando il rappresentante legale di tali soggetti esprima il rifiuto alle cure proposte – in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4 della legge n. 219/2017 – ed il Medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie.

§ 5. Il risarcimento del danno da violazione del consenso informato

Qualora il Medico venga meno agli obblighi di informazione per il consenso informato, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, possono configurarsi due tipologie di danno per il paziente:

“a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente, sul quale grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento;

b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in tale ultimo caso di apprezzabile gravità, diverso dalla lesione del diritto alla salute”.

(da ultimo, Cass. III, 11/11/2019, n. 2898)

La pronuncia della Cassazione appena citata ha evidenziato che, anche se la condotta illecita per omessa informazione è autonoma rispetto a quella inerente il trattamento terapeutico, è possibile riconoscere

alla omissione informativa una astratta capacità plurioffensiva, in quanto potenzialmente idonea a ledere distinti interessi sostanziali, rispettivamente, il diritto alla autodeterminazione ed il diritto alla salute – entrambi, quindi, suscettibili di reintegrazione risarcitoria, laddove sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di tali diritti siano derivate specifiche conseguenze dannose”.

(Cass. 28985/2019)

Ripercorrendo e confermando un consolidato orientamento, la Suprema Corte ha poi provveduto a tratteggiare i possibili scenari di violazione del consenso informato ed i correlati aspetti di danno, evidenziando che:

“Dall’inadempimento dell’obbligo informativo gravante sul medico possono derivare le seguenti situazioni:
A) omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute per condotta colposa del medico: se il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento, nelle medesime condizioni, “hic et nunc”, sarà risarcibile il solo danno alla salute, nella sua duplice componente, morale e relazionale;
B) omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute per condotta colposa del medico: se il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento, sarà risarcibile anche il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione;
C) omessa informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) per condotta non colposa del medico: se il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento, saranno risarcibili il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo) e il danno alla salute, da valutarsi in relazione all’eventuale situazione “differenziale” tra il maggior danno biologico conseguente all’intervento e il preesistente stato patologico invalidante;
D) omessa informazione in relazione a un intervento che non ha cagionato un danno alla salute: se il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento, nessun risarcimento sarà dovuto;
E) omessa/inadeguata diagnosi che non ha cagionato un danno alla salute del paziente, ma gli ha impedito di accedere a più accurati e attendibili accertamenti: se il paziente allega che dall’omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli sono, comunque, derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, salva possibilità di provata contestazione della controparte, sarà risarcibile il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione”.

(Cass. 28985/2019)

Per il risarcimento dei summenzionati pregiudizi, sarà onere del paziente dimostrare la relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione, perfezionatosi con la condotta omissiva che ha violato l’obbligo di informazione preventivo, e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate.

Infine, con riguardo al risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, deve rimarcarsi che

In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se, nel primo caso, l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia “ex se” una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo, invece, l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – gravante sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in “re ipsa”.

(Cass. III, 04/11/2020, n. 24471, Pres. Armano, Rel. Olivieri)

Perciò, è opportuno chiarire affermare in giudizio (e, ove possibile, provare) che il paziente, qualora fosse stato doverosamente informato di tutte le caratteristiche e dei rischi connessi al trattamento sanitario, avrebbe verosimilmente fatto scelte differenti, o quantomeno altre e più approfondite valutazioni, ad esempio avrebbe:

  • riflettuto adeguatamente sulla stessa opportunità di sottoporsi al trattamento;
  • meditato su possibili scelte alternative all’intervento e/o differenti opzioni farmacologiche;
  • valutato se ricorrere a strutture mediche differenti, magari più vicine al proprio domicilio e meglio in grado di monitorarlo nel follow-up;
  • prestato sicuramente maggiore attenzione ad eventuali segnali d’allarme nel post-operatorio;
  • accettato almeno con più consapevolezza, se non con rassegnazione, la successiva evoluzione sfavorevole della propria condizione clinica.

Tutte queste possibilità formano il contenuto del “diritto all’autodeterminazione” del paziente, il quale, se ne viene privato, va comprensibilmente incontro a conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate dai sanitari e, proprio per questo, assolutamente rifiutate a livello psicologico, soffrendo così un danno non patrimoniale da lesione del suo diritto all’autodeterminazione, che deve essere risarcito in via equitativa.