Art. 1176 cc Diligenza nell’adempimento

Art. 1176 sulla diligenza nell’adempimento: i criteri di valutazione

Quando si parla di responsabilità professionale, un concetto chiave è quello della diligenza. Ma cosa significa esattamente essere diligenti nello svolgimento della propria attività? Ce lo spiega l’articolo 1176 del codice civile.

Questa norma si rivolge a chiunque abbia un’obbligazione da adempiere, cioè a qualsiasi debitore. E stabilisce che, nell’eseguire la prestazione dovuta, bisogna usare la diligenza del buon padre di famiglia. In pratica, il codice richiede di comportarsi come farebbe una persona media, con normale prudenza e avvedutezza.

Il comma 2 prevede un criterio più rigoroso quando il debitore è un professionista, come un medico o un avvocato. In questi casi, la diligenza si valuta in base alla natura dell’attività svolta. Insomma, la legge si aspetta uno standard più elevato da chi svolge un lavoro specialistico.

Ma quali sono le conseguenze concrete di queste regole? E come si applicano in un settore delicato come quello della responsabilità sanitaria?

In questo articolo vedremo:

  • Cosa significa “diligenza del buon padre di famiglia”
  • Perché per i professionisti la legge pretende di più
  • Quando il medico può essere ritenuto responsabile in base all’art. 1176 cc

Iniziamo subito con alcune nozioni di base.

1. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
2. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

– Dispositivo dell’art. 1176 del Codice Civile

§ 1. La diligenza del buon padre di famiglia nell’art. 1176 cc (comma 1)

Il primo comma dell’art. 1176 c.c. stabilisce il criterio generale per valutare la diligenza del debitore nell’adempimento delle obbligazioni: bisogna usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Ma cosa indica esattamente questa locuzione all’apparenza un po’ datata?

In pratica, il codice usa una figura immaginaria per indicare una persona di medie qualità, senza particolari abilità ma neanche difetti. Insomma, un soggetto “normale”, dotato di comune prudenza e avvedutezza.

Facciamo un esempio concreto: immagina di prestare la tua auto a un amico. Ecco, tu ti aspetti che lui la guidi con la diligenza del buon padre di famiglia, cioè che:

  • Rispetti il codice della strada
  • Non corra rischi inutili, magari sfrecciando a folle velocità
  • Faccia attenzione a non provocare incidenti
  • Presti un minimo di manutenzione al veicolo, controllando la benzina o la pressione delle gomme

Questo non vuol dire che debba guidare come un pilota professionista: si pretende solo lo standard di attenzione dell’automobilista medio.

Il concetto chiave è che la diligenza del buon padre di famiglia prescinde dalle caratteristiche individuali del singolo debitore. Non importa che tu sia particolarmente prudente o spericolato nella vita: quando assumi un’obbligazione, devi comunque conformarti a quel modello di condotta oggettivo e astratto.

§ 1.1 Il metodo di valutazione della diligenza di cui all’art. 1176, comma 1, cc

Come si valuta, in concreto, se un comportamento è stato sufficientemente diligente? Si utilizza la cosiddetta regola del confronto

Per accertare se una condotta è colposa, si mette a confronto la condotta effettivamente tenuta dal presunto responsabile con quella che, nelle stesse circostanze, sarebbe stata adottata da una persona di media prudenza e diligenza, il cosiddetto bonus paterfamilias.

Facciamo qualche esempio pratico:

  • Una persona parcheggia la sua autovettura su una strada in pendenza senza azionare il freno a mano. La macchina inizia a muoversi e finisce per investire un povero pedone fermo sul marciapiede.
  • Il padrone di un cane di grossa taglia decide di lasciarlo libero nel cortile di casa senza supervisione. Questo mastino napoletano, lasciato incustodito, scappa dal cortile e azzanna una persona che stava passeggiando sulla strada adiacente.

In casi come questi, si tratta di valutare se colui che ha abbandonato il veicolo in discesa senza freno a mano, o chi ha lasciato libero il proprio cane feroce, abbia tenuto o non abbia tenuto una condotta colposa.

I giudici fanno  di solito con un giudizio ipotetico: si chiedono cioè se, nelle stesse circostanze, una persona di media avvedutezza si sarebbe comportata allo stesso modo del debitore.

Quindi la diligenza del buon padre di famiglia è il parametro base richiesto a qualunque debitore per l’adempimento delle obbligazioni.

§ 2. La diligenza professionale nell’art. 1176 cc (comma 2)

Passiamo ora al comma 2 dell’art. 1176 c.c., che prevede un criterio speciale per valutare la diligenza nelle attività professionali. Il codice ci dice che, in questi casi, la diligenza va commisurata alla natura dell’attività esercitata.

Ma attenzione: il termine “professionista” non si riferisce solo a chi esercita una libera professione, come avvocati, notai o ingegneri. Per il codice, è “professionista” chiunque svolga un’attività in modo continuativo e abituale, anche se non appartiene a un albo. Rientrano quindi nella categoria gli imprenditori, i medici, gli avvocati, i commercialisti. Ma anche le banche, le assicurazioni e molte altre figure.

§ 2.1 Il metodo di valutazione della diligenza di cui all’art. 1176, comma 2, cc

Per valutare se il professionista ha agito con la dovuta diligenza, si applica, anche qui, il criterio del confronto: ci si chiede cioè se, nelle stesse circostanze, un professionista “medio” si sarebbe comportato diversamente.

Facciamo degli esempi concreti:

  • Un avvocato non solleva in giudizio un’eccezione decisiva per la causa del cliente, portandolo alla sconfitta
  • Un medico sbaglia clamorosamente una diagnosi, non riconoscendo una patologia evidente dai sintomi del paziente

In casi come questi, il giudice dovrà chiedersi: un legale o un dottore di media preparazione avrebbe agito nello stesso modo? Se la risposta è no, significa che c’è stata una violazione del dovere di diligenza professionale.

Qui sta il punto: il parametro di riferimento non è più il generico “buon padre di famiglia”, ma un modello più severo: al professionista “medio” si richiede un bagaglio di conoscenze tecniche e un livello di attenzione ben superiori a quelli dell’uomo comune.

Del resto, svolgere certi mestieri implica una grande responsabilità: spesso sono in gioco beni fondamentali come la vita, la salute, il patrimonio dei clienti. È naturale che la legge pretenda da questi soggetti uno standard di condotta più rigoroso, basato sulle migliori prassi ed esperienze del settore.

Diligenza del buon padre di famiglia versus diligenza del professionista
Diligenza del buon padre di famiglia versus diligenza del professionista

Tuttavia, è importante chiarire che la diligenza professionale non esclude del tutto il rischio di errori o esiti indesiderati. Anche il professionista scrupoloso può trovarsi di fronte a imprevisti. Ma il rispetto delle leges artis – le regole della scienza e della tecnica – serve a minimizzare tali rischi.

§ 2.2 Chi è il “professionista medio”?

Professionista medio sarà, nel caso dell’avvocato, l’illustre giurista o l’azzeccagarbugli di turno?

Professionista medio sarà, nel caso del medico, il rinomato esperto o il ciarlatano improvvisato?

Perché, a seconda della nozione che noi adottiamo di professionista medio, cioè del tertium comparationis col quale confrontare la condotta concretamente tenuta dal presunto colpevole; a seconda, dicevamo, della nozione astratta di professionista medio che noi adottiamo, l’area della colpa si allarga o si restringe.

Se noi adottiamo una nozione di diligenza media, di professionista medio molto bassa, professionista medio è l’avvocato sciatto e inesperto, se stiamo nel campo della responsabilità dell’avvocato; oppure il medico trasandato e incompetente, se andiamo nel campo della responsabilità sanitaria.

E se la soglia della diligenza media è molto bassa, la responsabilità si restringe perché per essere condannati bisognerà farle davvero grosse.

Bisognerà commettere errori grossolani e macroscopici per essere considerati colpevoli, mentre tutto il resto rientra nell’area della condotta non colposa.

Se invece noi adottiamo una nozione di diligenza media molto elevata, l’area della colpa si allarga, perché il professionista medio è uno che sa fare tante cose, e sa farle bene: quello è il livello medio. Basteranno delle minime deviazioni da questo modello astratto di perfezione per essere ritenuti colpevoli, quindi anche gli errori lievi comporteranno responsabilità.

La responsabilità professionale e la diligenza media

§ 2.3 Il professionista “medio” secondo la Cassazione

La Cassazione è molto chiara: il professionista medio non è il professionista mediocre o addirittura scadente. Al contrario, lo standard di riferimento è quello del professionista bravo, competente, che si aggiorna costantemente e cerca sempre di fornire il miglior servizio.

Il medico medio, ad esempio, è quello che va ai congressi, quello che si aggiorna, quello che approfondisce, che adempie anche prestazioni non richieste, se necessario per salvaguardare la salute del paziente.

L’avvocato medio è quello che conosce bene la legge, che si informa sulle novità normative e giurisprudenziali, che si spende in giudizio per difendere al meglio gli interessi del proprio cliente.

Il modello di diligenza media di cui all’articolo 1176, comma due, scelto dalla Corte di Cassazione, è un modello di diligenza molto elevato e questo vale per tutti i professionisti, non soltanto per i medici o per gli avvocati, ma per i notai, gli ingegneri, gli architetti, i geometri, e anche per tutti gli imprenditori.

Quindi è chiaro che, per queste categorie, l’area della condotta colposa tende ad allargarsi. Non occorrono gravi mancanze per incorrere in una condanna: anche gli errori lievi potrebbero comportare responsabilità.

Un medico che non segua scrupolosamente i più recenti protocolli o non si informi sulle ultime novità scientifiche, anche se non causa danni evidenti, potrebbe non rispettare lo standard di condotta esigibile.

Insomma, i professionisti sono tenuti a una vigilanza e a uno sforzo maggiori rispetto alla generalità dei debitori.

Ad esempio, un chirurgo non può ignorare una nuova tecnica operatoria che riduce significativamente i rischi post-intervento, anche se questa tecnica non è ancora ampiamente adottata.

La tua situazione è stata gestita secondo i parametri di diligenza previsti dall’art. 1176?

Se hai dubbi sulla corretta applicazione di questi criteri o ritieni di aver subito un danno per mancata diligenza professionale, contattaci. Il nostro studio legale è a tua disposizione per offrirti consulenza qualificata. Usa il form nella pagina contatti per parlarci del tuo caso.

§ 3. Focus: la diligenza in ambito sanitario

Abbiamo visto che la diligenza richiesta ai professionisti è più elevata di quella del comune debitore. Ma come si applicano questi principi generali in un settore delicato come quello della responsabilità medica?

Partiamo da una considerazione ovvia ma fondamentale: quando ci rivolgiamo a un dottore, gli affidiamo il bene più prezioso che abbiamo, cioè la nostra salute. Ecco perché la legge è particolarmente attenta a valutare la condotta dei camici bianchi.

In linea di principio, l’attività del medico rientra nella categoria delle obbligazioni di mezzi. Cosa significa? Che il professionista non si impegna a ottenere un risultato specifico (la guarigione del malato), ma solo a prestare la propria opera con la massima diligenza e perizia.

Questo non vuol dire che i medici abbiano “licenza di sbagliare”. Anzi, proprio perché hanno a che fare con l’integrità psicofisica delle persone, sono tenuti a uno standard di diligenza molto rigoroso.

La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che la diligenza esigibile dal medico sia quella del professionista di media preparazione e avvedutezza. Non quella del premio Nobel o del luminare, ma nemmeno quella del camice improvvisato.

Ma c’è di più: in certi casi, la legge limita ulteriormente il margine di errore tollerabile. Mi riferisco all’art. 2236 c.c., che per i casi di “speciale difficoltà” riduce la responsabilità del professionista alle sole ipotesi di dolo o colpa grave. Una norma che cerca di non scoraggiare l’iniziativa dei medici di fronte a quadri clinici particolarmente complicati.

Attenzione però: la giurisprudenza interpreta questo articolo in modo molto restrittivo. I nostri giudici tendono a qualificare come “di speciale difficoltà” solo i casi oggettivamente eccezionali, non ancora sufficientemente studiati dalla scienza o dibattuti dalla comunità medica. Non basta che l’intervento sia delicato: deve essere quasi “pionieristico”.

E non è finita: anche nei casi in cui si applica l’art. 2236 c.c., la limitazione di responsabilità riguarda solo l’imperizia (cioè il deficit di abilità tecnica), non certo la negligenza o tantomeno imprudenza. Il medico che affronta un intervento complesso senza adeguata preparazione, pur consapevole dei rischi, si mette in una condizione difficilmente giustificabile.

Tirando le fila: lo standard di diligenza in campo medico è davvero elevato. I professionisti della salute sono costantemente sul filo del rasoio: anche una minima disattenzione può costare carissima in termini di responsabilità.

§ 4. Art. 1176 e obbligazione del debitore: diligenza del buon padre di famiglia vs diligenza del professionista

Dunque, l’art. 1176 c.c. delinea il criterio generale della diligenza che il debitore deve osservare nell’adempimento delle obbligazioni. Tale parametro, normalmente commisurato allo standard del “buon padre di famiglia”, assume però connotati peculiari quando il debitore svolge un’attività professionale.

In queste ipotesi, il comma 2 dell’articolo dispone che la diligenza debba essere valutata in relazione alla natura dell’attività esercitata. Ciò equivale, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata, ad applicare un modello di diligenza più rigoroso, fondato sulle leges artis e sulle migliori prassi che governano lo specifico settore professionale.

In particolare, la Suprema Corte identifica il parametro di riferimento nel professionista di media preparazione e competenza, costantemente aggiornato sull’evoluzione delle conoscenze e delle tecniche inerenti al proprio ambito operativo. Ne consegue che la negligenza o l’imperizia idonee a fondare una responsabilità civile saranno integrate da uno scostamento apprezzabile da tale standard comportamentale.

Questo modello trova puntuale applicazione nel settore della responsabilità sanitaria, ove l’esigenza di tutelare beni di rango primario come la vita e l’integrità psico-fisica dei pazienti giustifica l’imposizione di un obbligo di diligenza particolarmente stringente in capo al medico, pur nell’ambito di un’obbligazione generalmente qualificata come “di mezzi”.

Residuano margini per un’attenuazione della responsabilità professionale solo nelle limitate ipotesi di cui all’art. 2236 c.c., che la giurisprudenza tende peraltro a circoscrivere ai soli casi di imperizia in presenza di problemi tecnici di “speciale difficoltà”, cioè di complessità decisamente superiore all’ordinario.

In definitiva, il quadro che emerge dalla lettura giurisprudenziale dell’art. 1176 c.c. restituisce un sistema di responsabilità civile del professionista improntato a criteri di particolare rigore, in cui lo standard di diligenza esigibile si connota di contenuti tecnico-scientifici sempre più elevati e tende a modellarsi sulle migliori prassi consolidate nella comunità professionale di riferimento.

Diligenza, art. 1176 c.c. e colpa medica – Guarda il video!

La prudenza è la capacità di distinguere ciò che si deve fare da ciò che si deve evitare.

Marco Tullio Cicerone