Accordo di Ristrutturazione dei Debiti – Transazione Fiscale

Ultimo Aggiornamento 20 Maggio 2024

Omologato l’accordo di ristrutturazione debiti erariali ex art. 182 bis L.F. del valore di € 7.000.000,00.

Lo Studio ha patrocinato una Società per Azioni in una transazione fiscale con l’Agenzia delle Entrate conclusasi con l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti erariali ex art. 182 bis L.F. per circa euro 7.000.000,00.

Descrizione della Società Ricorrente

La Ricorrente era una società per azioni che, nel tempo, aveva acquistato una posizione di rilievo nel suo settore industriale in campo nazionale ed internazionale.

Tuttavia, non erano sono mancati, alla fine degli anni ’90, periodi in cui la società aveva perso quote di mercato, con conseguente riduzione dei ricavi ed appesantimento della situazione finanziaria complessiva.

Ciò aveva indotto la compagine sociale proprietaria ad aumentare il patrimonio aziendale mediante conferimento di immobili di proprietà, al fine di dotarsi di maggiori mezzi propri, ed il management a rivedere le politiche commerciali e produttive che avevano permesso di recuperare parte del fatturato e della redditività in precedenza perdute.

Il piano industriale e commerciale pluriennale predisposto aveva comportato l’utilizzo di notevoli risorse finanziarie solo in parte messe a disposizione da istituti bancari in conseguenza della maggiore patrimonializzazione della società, per effetto del già citato aumento di capitale sociale.

Al fine di aumentare il proprio margine, operazione ritenuta indispensabile all’interno del piano industriale in considerazione della quota dello stesso che veniva erosa dagli interessi passivi, la Società era stata costretta a rivedere i rapporti con i fornitori di materie prime e di servizi, decentrando la produzione e cercando di ridurre i conseguenti costi, trovandosi tuttavia costretta ad affrontare pagamenti anticipati rispetto a quelli abitualmente praticati, oltre a dover far fronte al regolare pagamento delle obbligazioni già scadute.

Quindi, la mancanza della totalità delle risorse finanziarie – necessarie alla continuità dell’attività produttiva, alla difesa dei posti di lavoro, alla tutela previdenziale ed assistenziale di tutti i lavoratori dipendenti (l’azienda aveva regolarmente assolto i propri obblighi contributivi), nonché agli importanti investimenti in pubblicità e comunicazione (necessari al fine mantenere alta la “visibilità” dei propri marchi e prodotti) – aveva comportato il congelamento dei debiti tributari (in particolare dell’Imposta sul Valore Aggiunto), solo in parte poi assolti con il pagamento di sanzioni ed interessi.

La situazione di crisi della Società

La Ricorrente si trovava dunque in una situazione di equilibrio patrimoniale e con un soddisfacente grado di redditività economica, ma con uno squilibrio finanziario consistente in uno sbilanciamento verso la componente a breve periodo, tale da determinare la situazione di crisi di cui all’art. 182 bis della legge fallimentare.

Il legislatore, in proposito, non ha ritenuto di definire in cosa consista lo stato di crisi. Tale nozione, dunque, è di natura empirica e trae spunto dalle discipline aziendalistiche, secondo le
quali la crisi può essere patrimoniale, economica o finanziaria. Sul punto, in particolare, è pacifico – tanto in dottrina quanto in giurisprudenza – che lo stato di crisi possa avere le origini più diverse, anche di carattere esclusivamente finanziario.

Nel caso specifico, la Ricorrente presentava, per l’appunto, un deterioramento degli indici finanziari che determinavano uno squilibrio di breve periodo, il che le consentiva di accedere alla procedura di cui all’art. 182 bis della legge fallimentare.

Tale procedura rappresentava, peraltro, l’unico strumento idoneo a consentire il consolidamento del debito erariale ed il conseguente riequilibrio finanziario. Infatti, la Società non possedeva risorse disponibili per assolvere nell’immediato l’intera obbligazione tributaria senza compromettere la continuità aziendale (il proprio ciclo finanziario dei pagamenti e degli incassi si collocava
mediamente tra i 9 e i 12 mesi), né possedeva capacità creditizia per ristrutturare diversamente il debito tributario (gli immobili di proprietà erano già gravati da due ipoteche).

L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la transazione fiscale

Alla data del deposito del ricorso, il debito verso l’Erario – ammontante, come si è visto, a circa euro 7.000.000,00 (ivi incluse le imposte in scadenza e scadute) – rappresentava circa il 67% del complesso dei debiti della Ricorrente e, dunque, oltre il sessanta per cento previsto dall’art. 182 bis della legge fallimentare. Più precisamente, l’Erario rappresentava crediti per il 67,14% della massa passiva dei debiti della Ricorrente.

Al fine di razionalizzare il proprio indebitamento con l’Erario e di superare la situazione di crisi, la Ricorrente aveva proposto all’Agenzia delle Entrate la stipulazione di una transazione fiscale ex art. 182 ter della legge fallimentare nell’àmbito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis della legge fallimentare, volto a prevedere la razionalizzazione, il riscadenziamento e la ridefinizione dei termini economici dell’indebitamento.

La Direzione Regionale competente dell’Agenzia delle Entrate aveva espresso parere favorevole ed assenso, rimarcando in particolare di aver effettuato una «valutazione complessiva della proposta transattiva che include, sia la valutazione dei requisiti sostanziali, sia la valutazione dei requisiti di natura formale», sottolineando la proficuità della proposta di transazione fiscale per l’Agenzia, nonché i vantaggi derivanti dall’accordo «in riferimento alla continuità aziendale e alla conservazione del patrimonio aziendale».

Detto accordo era stato formalizzato con scrittura privata con sottoscrizioni autenticate da Notaio e registrata presso la medesima Agenzia delle Entrate.

L’avvenuta omologazione da parte del Tribunale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti

L’Accordo presentava i requisiti previsti dall’art. 182 bis della legge fallimentare, in quanto:

  • era stato raggiunto con un creditore rappresentante circa il 67% dei crediti della ricorrente (più precisamente, rappresentante il 67,14% della massa passiva), quindi più del 60% richiesto dalla disposizione normativa di cui all’art. 182 bis della legge fallimentare;
  • era accompagnato dalla relazione dell’esperto in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) della legge fallimentare, il quale aveva confermato l’esattezza dei dati contabili sui quali l’accordo si fondava e ne aveva dichiarato l’attuabilità con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei;
  • nello specifico, l’esperto, concludendo la propria relazione, aveva ritenuto soddisfatti i requisiti previsti nell’art. 182 bis della legge fallimentare affermando che il piano di ristrutturazione “può ragionevolmente essere realizzato e, ad oggi, sembra rappresentare la migliore proposta formulabile dalla debitrice in quanto garantisce la continuità aziendale a tutela di tutti i creditori e dei lavoratori dipendenti. […] E’ inoltre previsto che i creditori estranei all’accordo (in percentuale appena superiore al 30% dei debiti […]) saranno regolarmente pagati alle date contrattualmente previste”.

Per tali ragioni, il Tribunale ha omologato, ai sensi dell’art. 182 bis della legge fallimentare, con decreto emesso in camera di consiglio, l’accordo di ristrutturazione dei debiti depositato dalla Società Ricorrente.

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