Ultimo Aggiornamento 24 Giugno 2024
L’articolo 2043 del codice civile e il suo rilievo in ambito di malpractice medica
Questo approfondimento è dedicato all’art. 2043 del codice civile, norma cardine su cui si fonda l’intero sistema della responsabilità civile.
Analizziamo insieme gli elementi costitutivi e i tratti caratteristici di questa disposizione, accennando al modo in cui la relativa disciplina è declinata nello specifico contesto della responsabilità professionale del medico e della struttura sanitaria.
INDICE SOMMARIO
- § 1. Il testo dell’articolo 2043 codice civile
- § 2. Il fatto: comportamento umano commissivo vs comportamento umano omissivo
- § 3. Fatto doloso vs fatto colposo nell’art. 2043 del codice civile
- § 4. Il nesso causale
- § 5. Art. 2043 c.c.: il danno ingiusto
- § 6. I presupposti per il risarcimento del danno
- § 7. La responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. del professionista sanitario
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§ 1. Il testo dell’articolo 2043 codice civile
Il testo della norma è molto semplice:
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
(art. 2043 c.c.)
Meno semplice è la sua interpretazione, considerato che, come dicevamo, queste poche parole sintetizzano una sorta di clausola generale dell’illecito civile, e forniscono le coordinate necessarie a stabilire quando un determinato comportamento violi il cosiddetto principio del “neminem laedere” (una espressione latina che vuol dire qualcosa come “non far male a nessuno”) e sia quindi configurabile una responsabilità civile o extracontrattuale (che a volte chiamiamo anche “aquiliana”).
Allora, con uno sforzo di estrema sintesi, cerchiamo di focalizzare l’attenzione sulle principali peculiarità che emergono dalla disposizione normativa dell’art. 2043 codice civile.
«Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere.»
“La giustizia è la costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo.”
Domizio Ulpiano
§ 2. Il fatto: comportamento umano commissivo vs comportamento umano omissivo
“Qualunque fatto…”
Un fatto è qualcosa di più di un atto.
Può trattarsi di un comportamento umano, tanto commissivo (quando il soggetto fa materialmente qualcosa) quanto omissivo (quando non compie una azione doverosa, violando un obbligo di attivarsi che l’ordinamento gli aveva imposto).
Ma può trattarsi anche di una vicenda naturale o un altro evento più o meno indipendente da una condotta umana (come un incendio, un allagamento, un cortocircuito elettrico, il malfunzionamento di un macchinario), che pure il diritto, per determinate ragioni, ascrive a responsabilità dell’uomo.
Serve assistenza in ambito di art. 2043 c.c.?
§ 3. Fatto doloso vs fatto colposo nell’art. 2043 del codice civile
“Qualunque fatto doloso o colposo…”
Il fatto deve essere sorretto da un elemento psicologico, ravvisabile alternativamente nel dolo o nella colpa.
Il dolo consiste nella coscienza e volontà del fatto e delle sue conseguenze: ho l’intenzione di compiere una azione e sono consapevole del danno che ne deriva.
La colpa è la divergenza tra la condotta tenuta dal soggetto e lo standard del comportamento che l’ordinamento si aspettava da lui.
La colpa è un elemento centrale nel sistema della responsabilità civile, perché è il criterio in base al quale si giudica l’illiceità del fatto e si delimita il contenuto del dovere di “non fare male a nessuno”.
Il diritto distingue tra colpa generica e colpa specifica.
La colpa generica deriva da
- negligenza (che è disattenzione, distrazione o più semplicemente sciatteria),
- imprudenza (che è tipica di chi si comporta in modo avventato o sconsiderato)
- ed imperizia (intesa come mancanza di esperienza o di abilità).
La colpa specifica, invece, consiste nell’inosservanza di precise disposizioni che impongono determinate cautele, e si articola, più specificamente, nella “’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (come dice l’art. 43 c.p.).
§ 4. Il nesso causale
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri…”
La condotta deve cagionare un danno, dunque deve provocare direttamente degli effetti negativi: deve esistere nesso di causa tra il fatto illecito e l’evento dannoso.
Stiamo parlando, tecnicamente, di un tema molto articolato e complesso: la cosiddetta “causalità materiale”, che serve per capire quando, in termini giuridici, possiamo dire che un danno è veramente conseguenza di un fatto illecito.
§ 5. Art. 2043 c.c.: il danno ingiusto
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto…”
Questo danno deve essere “ingiusto”. Ingiustizia del danno significa che è stato leso un interesse giuridicamente rilevante (la salute, per esempio) e non deve esserci una causa di giustificazione tale da escludere l’antigiuridicità del fatto.
Non tutti i danni sono ingiusti.
Ad esempio, non è ingiusto il danno che consegue all’esercizio di un diritto, salvo il caso di abuso, e neppure quello provocato in condizione di legittima difesa, propria o altrui, oppure in stato di necessità, che deriva dal bisogno di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Pensi di aver subito un danno ingiusto?
§ 6. I presupposti per il risarcimento del danno
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”
Quando ci sono tutti questi presupposti:
- un fatto,
- connotato da colpevolezza,
- che è stato causa diretta di un evento lesivo,
- a sua volta connotato da ingiustizia,
allora colui che ha commesso il fatto è obbligato a risarcire il danno.
E qui il termine “danno” assume una connotazione un po’ diversa: mentre nella prima parte della norma il danno rappresenta l’evento lesivo, quando si parla di danno da risarcire si intendono le singole conseguenze negative che ne derivano.
E’ quella che, in termine tecnici, chiamiamo “causalità giuridica”.
Lesione del bene e conseguenze dannose risarcibili non sono la stessa cosa.
Ad esempio: una cosa è la lesione della salute; altra cosa sono tutte le difficoltà e le limitazioni che ne derivano, anche dal punto di vista dinamico-relazionale.
Sono queste ultime che devono essere risarcite.
Allora il colpevole risarcirà il danno biologico, quale menomazione all’integrità psico-fisica della persona.
E, se l’evento lesivo ha provocato, com’è verosimile, anche sofferenza e turbamento, dovrà risarcire il danno morale.
Se poi la vittima ha perso la possibilità di lavorare, in conseguenza della lesione, avrà diritto anche al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante.
E così via: ad ogni singola conseguenza dannosa corrisponde una componente di danno risarcibile. Naturalmente, solo ove se ne dia prova in modo rigoroso.
«La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale.»
Gilbert Keith Chesterton
§ 7. La responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. del professionista sanitario
Alla luce di queste premesse, siamo allora in grado di capire come si inserisce il tema della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. nel contesto della malpractice medica.
Dobbiamo ricordare che, nel 2017, con la cd. legge Gelli, il legislatore è intervenuto e ha sovvertito la prospettiva ormai consolidata nella nostra giurisprudenza in materia di responsabilità del medico “strutturato” (e per medico strutturato intendiamo il professionista che è inserito in una organizzazione complessa e non ha alcun rapporto contrattuale con il paziente; tipicamente: il dipendente di un ospedale pubblico).
Ecco, la sua responsabilità è stata trasportata, dall’alveo contrattuale in cui era stata collocata almeno dalla fine degli anni ‘90, nel perimetro della responsabilità extracontrattuale.
Cosa cambia tra responsabilità civile ex art. 2043 c.c. e responsabilità contrattuale?
La differenza non è di poco conto: quando il titolo è extracontrattuale, tutti i presupposti della responsabilità devono essere provati dal danneggiato:
- la colpevolezza della condotta;
- la causalità materiale tra condotta ed evento lesivo;
- le singole conseguenze dannose risarcibili.
Se fallisce la prova anche di uno solo tra questi elementi, il paziente perde la causa.
E’ chiaro che, da questo punto di vista, la posizione processuale dell’operatore sanitario risulta alquanto alleggerita, mentre il paziente sarà indubbiamente incentivato a rivolgere le proprie istanze risarcitorie nei confronti della struttura.
Quest’ultima, infatti, continua a rispondere a titolo contrattuale, perciò è onerata della prova di aver tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza.
Se questa prova non riesce a darla, è la struttura che perde la causa.
Ora, quello che abbiamo detto, ovviamente, è una semplificazione, perché la questione è molto più articolata e ci sarebbero altri profili problematici e aspetti critici da considerare, che ruotano attorno al nesso eziologico, alle cause ignote, e al grado di incertezza che inevitabilmente li caratterizza nella gran parte delle controversie di “malasanità“.
Ad ogni modo, è sufficiente per comprendere come la legge Gelli-Bianco abbia provato, e in parte ci sia riuscita, ad allontanare il contenzioso giudiziale dalla sfera dei singoli operatori, per concentrarlo sulle strutture sanitarie, che devono peraltro essere coperte da un sistema di assicurazione o di altre misure di cosiddetta “autoritenzione”, utili a consentire di pianificare adeguatamente la gestione del rischio clinico, anche dal punto di vista delle sue ricadute risarcitorie.
«As pervasive as medicine has become in modern life, it remains mostly hidden and often misunderstood. […] For what seems most vital and interesting is not how much we in medicine know but how much we don’t – and how we might grapple with that ignorance more wisely.»
“Anche se la medicina ha invaso molti campi della vita moderna, resta comunque qualcosa di misterioso e spesso mal compreso. […] Perché la cosa più vitale e interessante non è quanto sappiamo in medicina, ma quanto non sappiamo, e qual è il modo più saggio per affrontare questa ignoranza.”
ATUL GAWANDE, Complications. A surgeon’s notes on an imperfect science, London, 2003, p. 8