DANNO ESTETICO - MedMal Words - Avv. Parisa Pelash

Danno estetico

Ultimo Aggiornamento 21 Maggio 2024

Definizione e liquidazione del “danno estetico” – Medmal WORDS

Nel contesto di tutti i danni che una persona può soffrire, il cosiddetto “danno estetico” (o “danno fisiognomico”) è senz’altro una delle fattispecie più delicate e problematiche. Cos’è il danno estetico? Qual è la sua origine storica? E come si quantifica il risarcimento del danno per danno estetico? Ce lo spiega l’Avv. Parisa Pelash.

MedMal WORDS | Le parole della responsabilità sanitaria” è un progetto divulgativo a cura di STUDIO LEGALE CHIARINI – Associazione Professionale.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Cos’è il danno estetico?

Diciamo subito che il danno estetico è un vero e proprio danno alla integrità psicofisica. Non è una categoria giuridica a sé stante, ma è una particolare modalità in cui si può manifestare il danno alla salute, cioè il danno biologico: mentre in quest’ultimo la lesione riguarda un organo o una funzione anatomica, nel danno estetico a venire compromesso è l’aspetto esteriore del danneggiato.

Attenzione però: siamo davanti a un danno estetico non solo nel classico caso della cicatrice deturpante sul volto, ma tutte le volte in cui viene alterata, in peggio ovviamente, la percezione stessa della propria immagine (pensiamo, ad esempio, al caso in cui una persona, dopo un incidente, si trovi a zoppicare, oppure abbia assunto una postura anomala, o ancora risulti affetta da strabismo).

§ 2. L’origine storica del danno estetico

Ma come è nata la nozione di danno estetico?

Ecco: alla fine degli anni ‘70, la nostra giurisprudenza considerava risarcibile il danno alla salute solo in quanto lesivo della capacità di produrre reddito. Cioè non si risarciva il danno biologico in quanto tale, ma soltanto per le ripercussioni lavorative ed economiche che poteva avere.

E siccome uno sfregio non impedisce di lavorare (salvo che, di mestiere, uno faccia l’attore o il fotomodello), esso non avrebbe potuto dar luogo al risarcimento.

Era evidentemente una ingiustizia. Per ovviare alla quale si inventò il concetto di danno estetico, sostenendo che questo tipo di danno rende più difficili le relazioni interpersonali del danneggiato e, per questa ragione, incide anche sulle sue possibilità di far carriera, e così di aumentare i propri guadagni.

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§ 3. Configurazione attuale del danno estetico

Nato quindi in ambito reddituale, oggi sappiamo che il “danno estetico” configura un pregiudizio di carattere non patrimoniale.

Esso può avere origine da qualsiasi evento traumatico, come ad esempio un incidente stradale, un’aggressione, il morso di un cane, o anche una vicenda di malpractice medica, configurandosi in tal caso come un vero e proprio danno iatrogeno.

Il danno estetico trova, peraltro, un peculiare e – diciamo così – fisiologico ambito di manifestazione nelle specialità della “chirurgia plastica” e della cosiddetta “medicina estetica” (per l’appunto).

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§ 4. Come quantificare il danno estetico?

La quantificazione del danno estetico è forse l’aspetto più complicato dell’intera questione, anche perché non esiste una tabella di classificazione di questo genere di pregiudizi.

E’ vero, ci sono, nella medicina legale, sei classi di gravità, dalle alterazioni più lievi alle cicatrici più marcate e deformanti:

  • Classe I (pregiudizio lievissimo) – dall’1 al 5% di invalidità permanente;
  • Classe II (pregiudizio da lieve a moderato) – dal 6 al 15% di invalidità permanente;
  • Classe III (pregiudizio da moderato a rilevante) – dal 16 al 25% di invalidità permanente;
  • Classe IV (pregiudizio molto rilevante) – dal 26 al 35% di invalidità permanente;
  • Classe V (pregiudizio grave) – dal 36 al 50% di invalidità permanente;
  • Classe VI (pregiudizio gravissimo con ripercussioni su funzioni diverse da quella estetica) – dal 51 al 65% di invalidità permanente.

Ma gli elementi da tenere sempre presenti sono tre:

  1. la dimensione oggettiva, ossia l’effettiva consistenza dell’alterazione fisiognomica,
  2. le implicazioni psicologiche, e quindi la concreta percezione che il danneggiato ha del danno, e infine
  3. la sua emendabilità, cioè se il pregiudizio può essere attenuato o addirittura eliminato, eventualmente comparando il peso economico del danno a quello degli interventi riparativi necessari.

Nel rispetto, beninteso, della libertà del paziente di sottoporvisi.

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