Vending e distributori automatici: i danni da ingestione di alimenti contaminati

Ultimo Aggiornamento 21 Maggio 2024

Alimenti Contaminati & Distributori Automatici

Con l’avanzare della tecnologia, si è significativamente diffusa la presenza di distributori automatici di prodotti alimentari all’interno dei locali aperti al pubblico: si tratta del settore della distribuzione automatica, ossia il cd. “vending”.

Coloro che decidono di acquistare generi alimentari contenuti all’interno dei suddetti erogatori, tuttavia, si espongono così al rischio di ingerire sostanze dannose per la propria salute (ad es., perché i prodotti risultano infestati da parassiti, o da escrementi di animali, o da altri inquinanti).

Quali sono le forme di tutela (per i consumatori) e quali, per converso, le responsabilità (per i gestori o i proprietari dei distributori automatici), nel caso in cui venga prelevato dall’erogatore un alimento contaminato?

 

INDICE SOMMARIO

 

§ 1. La responsabilità del titolare di distributori automatici: normativa europea ed interna

I distributori automatici possono essere considerati dei veri e propri punti vendita ed in quanto tali soggiacciono alla normativa sulla compravendita di cose mobili.

L’impresa di distribuzione, pertanto, come ogni venditore, assume l’obbligo di far acquistare il bene oggetto della vendita, dietro il pagamento del corrispettivo da parte dell’acquirente.

Anche nel caso delle cd. vending machines, il venditore dovrà prestare all’acquirente la garanzia contro ogni eventuale vizio del prodotto ai sensi dell’art. 1490, comma 1, c.c. il quale recita:

Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.

Quando la compravendita ha ad oggetto un alimento, la responsabilità del titolare del distributore automatico si connota di obbligazioni più gravose rispetto alla consueta vendita di cose mobili, proprio in considerazione delle peculiarità dei prodotti venduti.

In ragione della delicatezza del bene “salute”, costituzionalmente tutelato dall’art. 32 Cost., infatti, il titolare dell’impresa di distribuzione deve assicurare il rispetto delle norme di legge relative all’igiene dei prodotti alimentari.

Al fine di garantire la sicurezza degli utenti, il legislatore comunitario è intervenuto con il “Regolamento (CE) n. 852/04 del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari”, affermando, all’art. 1 lett. a), che:

la responsabilità principale per la sicurezza degli ambienti incombe all’operatore del settore alimentare

e dunque, nel caso del vending, sull’impresa distributrice.

L’art. 17 dello stesso Regolamento (CE) ha altresì stabilito che, finché non interverranno norme europee più specifiche, i produttori e i controllori devono fare riferimento alle normative nazionali vigenti. In particolare, dunque,  il venditore dovrà rispettare i seguenti provvedimenti normativi nazionali:

  1. Legge del 30 aprile 1962 n. 283Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”;
  2. D.P.R. Del 26 marzo 1980 n. 327Regolamento di esecuzione della Legge del 30 aprile 1962 n. 283 in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”.

Il mancato rispetto di queste prescrizioni normative, come nel caso di vendita di sostanza infestata da parassiti, genera in capo al venditore una responsabilità – civile e/o penale – verso colui che si trova ad ingerire alimenti contaminati e/o non conformi.

 

§ 2. La responsabilità civile e il risarcimento del danno per l’ingestione di alimenti contaminati

Nel caso in cui, in violazione degli obblighi previsti dalla normativa, il titolare delle vending machines abbia commercializzato prodotti contaminati (e dunque viziati, in spregio al citato art. 1490 c.c.), il danneggiato potrà agire ai sensi dell’art. 1494 c.c. al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale patìto, a meno che “il venditore riesca a dimostrare di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”.

Dunque, il malcapitato acquirente potrà anzitutto richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., che è caratterizzato dalle seguenti componenti:

  • Danno biologico: lesione del bene “salute” costituzionalmente tutelato; trattasi della lesione (temporanea o permanente) all’integrità psico-fisica della persona;
  • Danno psicologico-esistenziale: modificazione peggiorativa della personalità dell’individuo e/o turbamento delle abitudini di vita e dei rapporti relazionali;
  • Danno morale: perturbatio dell’animo e sofferenza patita.

Quanto al danno patrimoniale, il venditore avrà l’onere di rifondere, a colui che abbia prelevato la bevanda contaminata, entrambe le componenti di danno previste dall’art. 1223 c.c., ossia:

  • il danno emergente: gli esborsi che il povero acquirente abbia effettuato in conseguenza della malattia derivata dalla mancata osservanza delle norme igieniche, o al fine di debellarla;
  • il lucro cessante: gli introiti che egli non abbia percepito a causa dell’astensione dall’eventuale attività remunerativa di cui si occupava.

 

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§ 3. La responsabilità penale del titolare dell’impresa di distribuzione

L’art. 5 lett. d) della menzionata Legge del 30 aprile 1962 n. 283 stabilisce che “è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari […] insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione“.
L’art. 6, comma 3, della stessa Legge prevede, per tale violazione, “la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o dell’ammenda da € 2.582 a € 46.481“.
Pertanto, il titolare dell’impresa di distribuzione che abbia venduto un prodotto contaminato andrà incontro a responsabilità penale per questa fattispecie di reato che, essendo di natura contravvenzionale, è peraltro procedibile d’ufficio.

Il personale sanitario che abbia provveduto alla cura di colui che ha ingerito la bevanda avrà l’obbligo – ai sensi degli artt. 334 c.p.p. e 365 c.p. – di presentare il c.d. referto all’autorità giudiziaria entro le successive 48 ore. Come noto, il referto è la denuncia presentata dall’esercente una professione sanitaria quando, durante lo svolgimento delle proprie prestazioni di assistenza, abbia maturato il sospetto della commissione di un reato.

Non solo: nel caso in cui l’acquirente della prodotto affetto da parassiti subisca una malattia a causa della ingestione, il proprietario della vending machine potrà essere tenuto a rispondere del reato di lesione personale colposa ai sensi dell’art. 590 c.p.
Tale reato può essere ravvisato solo in quanto nell’esercizio della propria attività il proprietario del distributore abbia con colpa trascurato la corretta manutenzione dei distributori automatici secondo la normativa di legge.
Il reato è perseguibile su querela della parte che ha ingerito la sostanza infestata, la quale dovrà attivarsi entro tre mesi dalla lesione sofferta.

 

§ 4. Riflessioni conclusive sulle azioni esperibili all’acquirente di alimenti contaminati

Pertanto, il malcapitato acquirente di un prodotto infestato potrà agire sia civilmente nei confronti del titolare dell’impresa distributrice ed ottenere una condanna al ristoro di tutti i danni patìti, sia in in sede penale, solo a seguito di una indagine che vada ad appurare l’esistenza di profili di colpa e stabilire se il proprietario delle vending machines abbia colposamente omesso di praticare le procedure prescritte dal legislatore nazionale e comunitario a garanzia della salute del pubblico.