Omicidio colposo medico: caso di assoluzione in équipe chirurgica

Ultimo Aggiornamento 19 Novembre 2024

L’omicidio colposo medico è un reato disciplinato dall’articolo 589 del Codice Penale. Si parla di omicidio per colpa medica quando la morte di un paziente è causata da condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte di uno o più professionisti sanitari. In questo caso entraperaltro in gioco anche l’articolo 590 sexies Codice Penale, che riguarda, appunto, la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.

Questo reato pone complesse questioni di accertamento delle responsabilità, specialmente negli interventi svolti in équipe, dove la corretta definizione dei compiti e il principio di affidamento tra i membri assumono un’importanza determinante.

Nel caso seguito dall’avv. Giovanni Chiarini un medico è stato assolto dall’accusa di omicidio colposo. La difesa ha dimostrato che il professionista, componente dell’équipe, non aveva alcun obbligo legato alla verifica del materiale utilizzato durante l’intervento, risultando quindi estraneo ai fatti. Una sentenza che ribadisce il principio di personalità della responsabilità penale e il valore di un’efficace strategia difensiva.

§ 1. Omicidio colposo medico

L’omicidio colposo medico, disciplinato dagli articoli 589 e 590 sexies del Codice Penale, riguarda i casi in cui un paziente subisce un esito letale a causa di un errore sanitario imputabile a violazioni di regole cautelari da parte del medico o dell’équipe. Questo reato pone una delicata questione di accertamento delle responsabilità, specialmente negli interventi svolti in équipe, dove è essenziale distinguere i ruoli e le specifiche mansioni di ciascun professionista.

Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto rilevanti modifiche per disciplinare in modo più chiaro i criteri di responsabilità penale in ambito sanitario, come la Legge Balduzzi e la successiva Legge Gelli-Bianco, che hanno ridefinito i parametri di valutazione della colpa medica.

§ 1.1 La legge Balduzzi e la legge Gelli-Bianco: evoluzione della responsabilità medica

La legge Balduzzi (Legge n. 189/2012) ha rappresentato un primo intervento normativo volto a regolare la responsabilità penale dei medici, introducendo una tutela parziale per gli esercenti la professione sanitaria. Essa stabiliva che il medico che si attiene alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Questa norma aveva lo scopo di limitare il rischio di contenziosi penali nei confronti dei professionisti, garantendo loro maggiore serenità operativa.

Successivamente, con l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), il legislatore ha ulteriormente definito il quadro normativo in materia di responsabilità professionale sanitaria. 

L’articolo 590-sexies del Codice Penale, introdotto da questa legge, disciplina la punibilità per omicidio colposo e lesioni personali colpose nell’esercizio della professione sanitaria, e sostituisce le previsioni della legge Balduzzi eliminando il riferimento esplicito al grado della colpa.

In base alla legge Gelli-Bianco, la punibilità del medico è esclusa qualora l’evento dannoso si sia verificato a causa di imperizia, a condizione che:

  1. Siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida accreditate e pubblicate ai sensi di legge;
  2. In assenza di linee guida, siano state osservate le buone pratiche clinico-assistenziali;
  3. Le raccomandazioni applicate risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Con questa riforma, il legislatore ha spostato l’attenzione dal grado di colpa alla correttezza delle procedure adottate e alla loro conformità agli standard scientifici. Oggi, quindi, la punibilità è esclusa solo quando l’evento si verifica a causa di imperizia e il medico ha rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida o, in loro assenza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali, purché adeguate alle specificità del caso concreto.

§ 2. Quando si configura l’omicidio colposo medico

L’omicidio colposo medico si configura quando un paziente perde la vita a causa di una condotta sanitaria imprudente, negligente o imperita. Questo tipo di reato, disciplinato in via generale dall’articolo 589 del Codice Penale, richiede l’accertamento di:

  1. Una violazione delle regole cautelari che il medico era tenuto a rispettare, come le linee guida e le buone pratiche cliniche accreditate.
  2. Un nesso causale diretto tra la condotta del medico e l’evento fatale.
  3. La prevedibilità e prevenibilità dell’evento, ossia la possibilità di prevedere il danno e di evitarlo con un comportamento diligente.

La valutazione delle responsabilità individuali diventa particolarmente complessa nei contesti di interventi chirurgici o sanitari svolti in équipe, dove i ruoli e le mansioni devono essere chiaramente distinti per accertare le eventuali colpe. La giurisprudenza italiana ha introdotto criteri importanti per distinguere le responsabilità personali nei casi di colpa collettiva.

§ 2.1 La responsabilità penale in équipe

In ambito sanitario, la responsabilità penale in équipe rappresenta un tema di grande complessità. Come stabilito dalla giurisprudenza dominante, la responsabilità di ciascun componente di un’équipe medica non può essere affermata sulla base di un errore generico attribuito al gruppo nel suo complesso. È necessario, invece, verificare in concreto i limiti dell’operato del singolo professionista, sia rispetto alle proprie mansioni, sia in relazione ai compiti degli altri membri.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27314/2017, ha chiarito che ogni sanitario è tenuto a vigilare sull’attività altrui solo in caso di errori macroscopici, evidenti e non settoriali. Tale dovere di controllo non opera per le fasi dell’intervento in cui i ruoli sono nettamente distinti, trovando applicazione il principio dell’affidamento:

In tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.

Nello stesso senso: Cassazione penale, sez. IV, 12/07/2019, n. 30626

§ 3. Pene e prescrizione per omicidio per colpa medica

L’omicidio colposo medico prevede pene variabili in funzione della gravità della condotta e delle circostanze aggravanti. In linea generale, la reclusione varia da sei mesi a cinque anni, ma nei casi più gravi (come ad esempio se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo della professione medica), le sanzioni possono essere più severe.

In termini di prescrizione, il reato segue il termine ordinario di sei anni, prorogabile fino a sette anni e sei mesi in caso di atti interruttivi rilevanti. Tuttavia, la presenza di eventuali circostanze aggravanti può incidere sia sulla durata della pena che sul termine prescrizionale.

Questi aspetti, insieme alla complessità delle indagini e dei processi penali in ambito sanitario, rendono fondamentale una valutazione approfondita di ogni elemento del caso per garantire il rispetto dei diritti di tutte le parti coinvolte.

§ 4. L’omicidio colposo medico nel caso seguito dallo studio Chiarini

Quando si parla di responsabilità medica, uno dei temi più delicati riguarda l’attribuzione della colpa in caso di eventi avversi durante interventi chirurgici che coinvolgono un’équipe di professionisti. Lo studio legale Chiarini ha seguito un caso di questo tipo, difendendo un medico accusato di omicidio colposo per la morte di un paziente durante un’operazione.

In situazioni come questa, la corretta suddivisione dei ruoli e delle responsabilità all’interno dell’équipe diventa fondamentale per determinare eventuali profili di colpa. Il principio di affidamento, secondo cui ciascun membro del team può fare affidamento sul corretto operato degli altri, salvo circostanze particolari, gioca un ruolo chiave nell’analisi di questi casi.

Nel caso specifico, grazie all’accurata strategia difensiva messa in atto dall’Avv. Chiarini, è stato possibile dimostrare che il medico aveva agito nel pieno rispetto delle linee guida e delle buone pratiche cliniche, adempiendo con diligenza ai propri doveri. Ciò ha permesso di escludere la sussistenza di una condotta colposa, anche in virtù del legittimo affidamento riposto nell’operato degli altri membri dell’équipe.

L’esito favorevole della difesa ha ribadito i principi fondamentali di individuazione delle responsabilità personali, offrendo spunti importanti per l’interpretazione delle norme in situazioni analoghe. Di seguito, approfondiamo i dettagli del caso e le implicazioni giuridiche che ne sono derivate.

§ 4.1 Il contesto clinico e l’accusa di omicidio colposo

Il caso trattato riguarda un intervento chirurgico complesso di colecistectomia laparotomica, durante il quale una garza chirurgica è stata dimenticata nell’addome del paziente. La rimozione tardiva del corpo estraneo ha causato complicazioni gravi, culminate nel decesso del paziente per peritonite e insufficienza cardiaca acuta.

L’accusa iniziale, formulata in capo a tutti i membri dell’équipe chirurgica, si basava su una presunta responsabilità collettiva per la mancata conta delle garze. Tuttavia, questa impostazione presentava criticità sia giuridiche che procedurali, in quanto non rispettava il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale.

§ 4.2 La causa della morte e la sussistenza di profili di responsabilità medica d’équipe

Nella consulenza del P.M. svolta in sede di indagini preliminari, il medico-legale – che aveva altresì proceduto ad autopsia – aveva indicato:

  • come causa della morte: insufficienza cardiaca acuta in corso di polmonite atelettasica diffusa bilaterale insorta in stato tossico-settico da lacerazione duodenale, in soggetto laparatomizzato e fortemente defedato per asportazione di corpo estraneo endoaddominale;
  • la ravvisabilità di profili di responsabilità professionale per negligenza grave dei chirurghi che avevano eseguito l’intervento chirurgico di colecistectomia, nonché responsabilità professionale per negligenza e imperizia di un radiologo (che, in un primo esame, non aveva riconosciuto la garza derelitta).

Nella successiva perizia, svolta in sede di incidente probatorio anche a causa dell’intervenuto decesso del primo consulente:

  • si ribadiva che la morte era stata causata da insufficienza cardiaca in corso di polmonite in un quadro tossico-settico da peritonite secondaria a fuoriuscita di liquidi biliare ed enterico da breccia sulla parete duodenale;
  • si indicava come “primum movens” nel determinismo della morte la dimenticanza della garza nell’addome del paziente, ma si affermava anche che per la morte aveva concausalmente avuto un ruolo molto importante il ritardo con cui si era proceduto alla seconda operazione per l’asportazione del corpo estraneo;
  • si indicava l’esistenza di colpa professionale a carico dell’équipe che aveva dimenticato la garza nell’addome del paziente nel corso del primo intervento, ma si diceva anche che trattavasi di intervento con maggiori difficoltà tecniche per condizioni anatomiche preesistenti;
  • si specificava infine che la responsabilità nell’ambito dell’équipe era addebitabile al “chirurgo operatore, anche qualora lo stesso avesse delegato ad altri medici o operatori sanitari specifiche operazioni che dovevano comunque essere eseguite sotto l’attenta sorveglianza e il penetrante controllo dello stesso chirurgo operatore“.

Sia nella consulenza che nella successiva perizia, si affermava che il primo intervento era alquanto complesso per la presenza di aderenze viscerali per pregressa resezione gastro-duodenale, nonché per l’asportazione della colecisti contenente grossi calcoli.

§ 4.3 L’addebito di responsabilità penale al Medico componente dell’équipe

Il capo di imputazione postulava la sussistenza di una sostanziale responsabilità collettiva di tutti i componenti dell’equipe, data la obiettiva difficoltà di accertare quale o quali dei medici componenti il gruppo avesse errato nella derelizione della garza.

Tale tesi non risultava però condivisibile perché, oltre a comportare il rischio di una deresponsabilizzazione dei singoli medici e paramedici coinvolti nell’intervento (in quanto non vengono chiamati a rispondere personalmente delle loro colpe, bensì delle colpe di tutti), risultava decisamente incompatibile col principio costituzionale della personalità della responsabilità penale.

Proprio in base al principio costituzionale della personalità della responsabilità penale, deve ammettersi che ciascun componente dell’équipe medica impegnata in un intervento, debba rispondere esclusivamente del corretto adempimento dei doveri di diligenza e perizia inerenti ai compiti che gli sono stati affidati.

Inoltre, proprio per permettere ai componenti dell’équipe di impegnarsi a pieno per un utile svolgimento delle proprie mansioni, non potrà affermarsi un ulteriore generale obbligo in capo a ciascuno dei componenti l’équipe di sorvegliare il comportamento altrui durante l’intervento operatorio.

E’ infatti indispensabile, per il buon funzionamento dell’équipe, che vi sia reciproca fiducia fra i suoi componenti. Fiducia derivante dalla conoscenza della qualifica e della professionalità dei propri colleghi di lavoro.

L’attività di una équipe composta di medici e ausiliari che non hanno fiducia nel reciproco operato, sarebbe infatti caratterizzata dal sospetto e dalla confusione fra i ruoli dei suoi componenti, ciascuno dei quali sarebbe in definitiva chiamato ad occuparsi di tutto, senza potersi concentrare sulle sue effettive mansioni.

Questa fiducia nell’operato altrui all’interno dell’équipe può, anzi, deve venir meno, solo se sussistono obbiettive circostanze fattuali idonee a farla vacillare, in quanto idonee a far prefigurare contegni scorretti ed inadeguati da parte degli altri componenti l’équipe.

L’équipe è inoltre strutturata gerarchicamente: spetta al capo équipe un potere di coordinamento e direzione del lavoro, e spetta viceversa agli altri componenti dell’équipe (siano essi medici o personale ausiliario) un dovere di obbedienza alle istruzioni impartite dal capo équipe.

La previsione di una struttura rigorosamente gerarchica è finalizzata al buon andamento delle operazioni svolte in équipe, in quanto determina un funzionamento più rigoroso ed ordinato dell’attività medica svolta da più soggetti in collaborazione.

Proprio la posizione apicale del capo équipe nell’ambito della struttura fa sì che, nei suoi riguardi, e solo nei suoi riguardi, possa parlarsi di un obbligo di controllo e di sorveglianza nei confronti dei suoi collaboratori. Infatti, proprio perché è il capo équipe che dirige l’intervento, su di lui grava l’obbligo di garantire il corretto svolgimento dell’opera comune.

Conseguentemente, grava sul capo équipe non solo l’obbligo di svolgere correttamente i compiti a lui spettanti nell’ambito della divisione delle competenze, ma anche l’obbligo di vigilare sul corretto operato altrui e sulla corretta attuazione delle sue direttive.

Il dovere di obbedienza e la dipendenza e subordinazione gerarchica dei collaboratori rispetto al capo équipe vengono meno solo allorché si sia in presenza di ordini evidentemente illegittimi o illeciti.

§ 4.4 I soggetti responsabili del “conto delle garze”

Tornando al caso di specie, l’intervento chirurgico era stato eseguito da una équipe capeggiata dal prof. L. (primo operatore), coadiuvato dagli aiuti dott. E. e dott.ssa R. (altri operatori), nonché dall’infermiera A. (strumentista).

Era stato confermato da tutti i periti e consulenti escussi come fosse prassi generalmente riconosciuta che, nell’ambito degli interventi operatori, si provvedesse al “conto delle garze”, proprio per evitare inconvenienti quali quello verificatosi nel caso che ci occupa, ossia lo smarrimento di una garza nell’addome del paziente.

La responsabilità per la conta delle garze gravava comunque sul primo operatore, salvo che questi non avesse delegato altri a farlo.

Solitamente, comunque, alla conta delle garze provvedeva il primo operatore con la collaborazione della ferrista.

Nell’ambito dell’intervento che ci occupa il capo équipe, ossia il prof. L., che era primo operatore, non risultava aver delegato alcuno alla conta delle garze.

Quindi, responsabile della conta delle garze era da ritenere il primo operatore, unitamente alla ferrista qualora l’avesse delegata. Anche in caso di delega, infatti, l’operatore deve vigilare.

Non potevano certo essere ritenuti responsabili della conta delle garze gli aiuti, in special modo se non erano stati espressamente delegati a farlo.

§ 4.5 L’assenza di profili di responsabilità imputabili al Medico difeso dallo Studio Legale Chiarini

Per quanto riguardava in particolare la posizione del dott. E., difeso dall’avv. Giovanni Chiarini, nulla era emerso da far ritenere che, tra le mansioni a lui assegnate, rientrasse anche il conto delle garze adoperate nell’intervento sul paziente. Né il mancato rispetto, sempre nel nostro caso, della prassi che vuole venga assegnato ad uno dei componenti dell’équipe l’obbligo di contare le garze adoperate, avrebbe potuto consentire al dott. E. di disobbedire o di opporsi alle istruzioni impartite o non impartite dal capo équipe, come se fossero illecite o illegittime.

Rientrava infatti nella piena discrezionalità del capo équipe decidere sulla divisione delle mansioni fra i suoi collaboratori e, lo stesso capo équipe, poteva quindi ritenere che la tipologia dell’intervento rendesse preferibile che il computo delle garze venisse effettuato da sé medesimo.

Nell’ambito dell’intervento de quo, il dott. E., nella sua qualità di aiuto, aveva quindi svolto diligentemente le mansioni assegnategli dal primo operatore (ossia dal prof. L.), non avendo avuto egli nessun motivo per poter dubitare della competenza e della professionalità degli altri componenti l’équipe, né tantomeno aveva ragione di ritenere che vi fossero delle irregolarità nell’organizzazione e nel coordinamento delle operazioni per l’intervento disposti dal capo équipe.

Per l’intervento sul paziente il dott. E., era un semplice aiuto (altro operatore) del prof. L. (primo operatore). La conta delle garze, per prassi, il primo operatore la esegue direttamente, ovvero delega altri a farlo in sua vece (il più delle volte viene delegata la ferrista).

Dalle risultanze processuali non emergeva minimamente che il prof. L. avesse delegato qualcuno ad effettuare il conteggio delle garze, né tanto meno che avesse delegato il dott. E.

Questi, dal canto suo, aveva riferito, sia nel corso dell’udienza preliminare che in sede di esame nel dibattimento che, quando operava in prima persona, se non delegava altri a farlo, eseguiva lui direttamente il conteggio delle garze.

Nel nostro caso, visto che il primo operatore, ossia il prof. L., non aveva delegato nessuno e che lo stesso primario godeva della massima stima e considerazione da parte dei suoi assistenti, doveva solo ritenersi che il dott. E. non avesse nessun obbligo giuridico di preoccuparsi del conteggio delle garze, nella convinzione che vi avesse provveduto il prof. L., quale primo operatore.

Certo è che, se il dott. E. si fosse reso conto che non veniva effettuato il conteggio delle garze e fosse rimasto inerte, allora sì che si sarebbe potuto parlare anche di una sua responsabilità. Ma non era certo questo il nostro caso, perché le risultanze processuali provavano esattamente il contrario.

§ 4.6 L’allontanamento del Medico dal tavolo operatorio

Ma vi era di più.

Nel caso in questione, non ci si trovava infatti di fronte ad una équipe organizzata per un solo intervento.

Le risultanze processuali avevano permesso di stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’équipe diretta dal prof. L., la quale aveva eseguito anche l’intervento sul paziente poi deceduto, lo stesso mattino era impegnata non per un solo intervento, bensì per più interventi che venivano eseguiti su due distinti tavoli operatori. Due tavoli operatori posizionati in altrettante due distinte sale operatorie comunicanti tra loro.

Si era trattato quindi di una équipe medica che, quel giorno, aveva operato per l’intero reparto operatorio di chirurgia generale dell’ospedale, e non sul solo paziente in discorso.

Come comprovavano le schede compilate per ciascun intervento chirurgico, depositate in giudizio dallo Studio Chiarini, quel mattino dell’équipe medica facevano parte:
1) il prof. L., quale chirurgo;
2) il dott. E., quale chirurgo;
3) la dott.ssa R., quale chirurgo;
4) la signora A., quale strumentista;
5) la signora P., quale strumentista;
6) la signora R., quale strumentista;
7) la dott.ssa L., quale anestesista;
8) la dott.ssa S., quale anestesista;
9) la dott.ssa P., quale anestesista.

Quindi, nel reparto operatorio diretto dal prof. L., quella mattina, vi erano almeno nove soggetti i quali, sempre secondo quanto risultava dalle schede depositate, si erano alternati nell’esecuzione di almeno sei interventi.

Il dott. E., sia con spontanee dichiarazioni rese in sede di udienza preliminare sia nel corso del suo esame reso in dibattimento, aveva spiegato in maniera oltremodo attendibile quali fossero i suoi compiti nella sala operatoria il giorno in cui venne effettuato il primo intervento sul paziente. Il dott. E. aveva detto, in sostanza, che gli unici soggetti che presenziavano ininterrottamente dall’inizio alla fine di ciascun intervento erano esclusivamente il primo operatore e la ferrista.

Gli aiuti si occupavano anche di altro: come preparare altri pazienti per l’intervento successivo, muoversi per le varie esigenze, come ad esempio per meglio posizionare il paziente, ecc. Prova, sia pure indiretta, a conferma di quanto dichiarato dal dott. E., la si rinveniva, ad esempio, esaminando comparativamente le schede dei diversi interventi chirurgici effettuati quel giorno.

§ 4.7 Il colpo di scena al termine del dibattimento: la dimostrazione dell’assoluta estraneità del Medico alla responsabilità penale dell’équipe

Infine, proprio in sede di ultima udienza dibattimentale, era pervenuta la definitiva dimostrazione del fatto che il dott. E. si fosse allontanato precocemente dal tavolo operatorio sul quale era ancora in corso l’intervento chirurgico del paziente in questione, per preparare su altro tavolo operatorio il successivo intervento programmato (peraltro particolarmente complicato).

Era stato escusso, infatti, un teste di particolare rilievo ed attendibilità, in quanto figlio del paziente defunto, il quale aveva riferito di ricordare perfettamente che, quando assieme ai suoi fratelli era in trepida attesa che venisse ultimato l’intervento chirurgico sulla persona del loro genitore che si sospettava affetto da un tumore, ad un certo punto il dott. E. ebbe ad uscire dalla sala operatoria e proprio al figlio, che si trovava nel corridoio antistante, riferì che era andato tutto bene, che il temuto tumore quindi non c’era, e che gli altri operatori stavano “richiudendo” il paziente.

Era stata, quindi, fornita l’assoluta certezza che il dott. E. non partecipò dall’inizio alla fine all’intervento eseguito sul paziente, in occasione del quale secondo l’accusa venne dimenticata o smarrita la garza nell’addome del paziente.

§ 4.8 La sentenza di assoluzione per il Medico (e di condanna per il resto dell’équipe)

Alla luce delle risultanze istruttorie così acquisite, dunque, il Giudice ha ritenuto dimostrato che il Medico in questione era stato costretto ad allontanarsi precocemente dal tavolo operatorio del Paziente poi deceduto, al fine di poter preparare altro tavolo operatorio in attesa di un diverso intervento chirurgico connotato da particolare complessità.

Per tale motivo, ritenendo non addebitabile al Medico – difeso dall’Avv. Giovanni Chiarini – la negligenza costituita dalla derelizione della garza, il Giudice ne ha pronunciato l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

Gli altri componenti dell’équipe sono stati, invece, condannati alla pena di mesi otto di reclusione e al pagamento, in solido, delle spese processuali.

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